Caterina va in città
Novembre 16, 2003 in Cinema da Stefano Mola
Caterina è una ragazza alle soglie dell’adolescenza, a Montalto di Castro a Roma. Semplice, ingenua, ha la passione del canto. Il padre (Sergio Castellitto) è un uomo che vive una profonda frustrazione intellettuale. Desidererebbe con tutte le sue forze essere riconosciuto come fratello dalla elite pensante, e sente la sua esclusione come una profonda ingiustizia della vita che lo ha messo da in un angolo, in una provincia che rifiuta di accettare e che giudica rozza e priva di interessi e di aspirazioni intellettuali. Per questo ha chiesto di essere trasferito nella capitale. Nemmeno la moglie (Margherita Buy) sembra in grado di capirlo. Sempre intimidita, fragilissima, timorosa, sconta un profondo senso di inferiorità. Finalmente, un giorno, il trasferimento viene concesso.
Questa è la situazione di partenza. Caterina si trova in una realtà completamente estranea. Si muove come se una ragazzina degli anni ’50 venisse improvvisamente spostata ai giorni nostri. Su di lei concentrano anche le aspettative del padre, che controlla accuratamente i cognomi delle compagni per capirne eventuali ascendenze illustri e/o potenti. Sarà subito costretto a fare i conti con i cocci dell’illusione, mentre Caterina si troverà sospesa tra compagne no-global con madre nevrotica intellettuale e padre artista separato e neo-destra con padre onorevole di alleanza nazionale. Entrambe le correnti cercheranno di fagocitarla (il resto è meglio che ciascuno lo scopra vedendo il film)
A me Paolo Virzì piace molto. “Ferie d’agosto” e “Ovosodo” sono film che raccontano molto dell’Italia degli ultimi anni. E lo fanno in modo convincente, divertente e amaro allo stesso tempo, senza rinunciare alla sferzata verso la parte politica di appartenenza. Quest’ultimo ci prova, ma gli esiti non sono altrettanto efficaci. In “Caterina va in città” troviamo molto del nostro oggi: la convergenza delle elite che si riconoscono in quanto tali al di del colore; la fede politica indistinguibile dal tifo calcistico (le parti avverse hanno lo stesso livello di incomunicabilità proprio delle tifoserie opposte di un derby cittadino); la frustrazione e il velleitarismo dei pretendenti non sponsorizzati al ceto intellettuale. Eccetera
Ma il film non decolla, raramente si alza al di là della rappresentazione macchiettistica. Inoltre, asciugato all’osso, il meccanismo fondamentale della storia è simile a quello di “Ovosodo”: un ingenuo e povero viene traviato da ricchi e politicizzati (di facciata). Si invaghisce di qualcuno che appartiene a un censo superiore (e anche qui la storia naufraga, anche se per motivi diversi). C’è una figura salvifica (al posto di Claudia Pandolfi, il ragazzo australiano). Ma nel personaggio di Caterina non c’è evoluzione: forse anche per la ristrettezza dello spazio temporale narrato (poco più di un anno scolastico). Si riduce quindi a poco più che un pretesto per rappresentare situazioni. Più che altro è uno sguardo ingenuo, uno sguardo perduto (forse da vagheggiare?).
Lascia un po’ perplessi questa rappresentazione della provincia come paradiso perduto, da cui scappare per poi tornare e ritrovarsi. Caterina arriva a Roma e sembra che non abbia mai visto né una kefiah, né maglioni oversize, né ombelichi di fuori, zeppe o pantaloni a zampa di elefante (basta girare un po’ per la provincia vera per convincersi del contrario). Anche l’elemento del sostanziale abbandono delle giovani generazioni a se stesse, per la progressiva dissolvenza dei genitori come figure di riferimento era già presente in “Ovosodo”. Ma non si fa nessuno sforzo per andare al di là dell’effetto facile, non c’è nessun colpo a sorpresa.
Peccato. Notevole comunque Sergio Castellitto. La sua interpretazione dell’uomo che vagheggia un riconoscimento della sua presunta grandezza intellettuale, e che per questa frustrazione diventa incapace di vivere la sua vita è veramente vitale, convincente, quasi da mettere a disagio. Margherita Buy è sempre uguale nella sua fragile nevrosi, peraltro non aiutata dalla sceneggiatura che le riserva una parte piatta e decisamente secondaria. Efficacissimo Amendola nella parte dell’uomo politico di AN.
Regia: Paolo Virzì
Sceneggiatura: Francesco Bruni, Paolo Virzì
Interpreti: Sergio Castellito, Alice Teghilin, Margherita Buy, Claudio Amendola, Antonio Carnevale, Flavio Bucci, Galatea Ranzi, Paola Tiziana Cruciani
Durata 90′
di Stefano Mola