Chris Potter a Linguaggi Jazz
Marzo 17, 2005 in Musica da Cinzia Modena
“I believe it’s everyone’s duty whether they are politically involved directly or not, to try and live in a way that brings more harmony to the world rather than less.”
Chris Potter
Torino, Teatro Piccolo Regio. Sul palco un giovane sassofonista e la sua band. La Chris Potter Band. Lui è trentenne, americano. Giovane eppure con un curriculum da brivido. Penultima tappa del viaggio “Linguaggi Jazz”. Ad inizio spettacolo Potter presenta subito i suoi compagni di avventura: Wayne Krantz, chitarra; Ari Hoenig, batteria & Fima Ephron, basso.
Poca formalità, poco rigore, tanta gentilezza e buon gusto. Un pianoforte a coda nero a lato del palco, senza suonatore. Luce sulla band. Prime note.
La musica è volata alta e lontana in un vortice di note che, come una spirale del DNA, ha portato in un’area indefinita. Suoni non semplici ma belli e spontanei che richiamano immagini dal cuore e dalla mente. Il mondo di Potter è avvolgente ed il suo sentire regala armonia ed una strana sensazione di appagamento. Il suo suono non sembra esser frutto dell’istinto ma di un’idea, di un’intuizione iniziale realizzata conciliando propulsione creativa, innovazione armonica e rispetto formale delle linee melodiche. E’ un artista dal suono fluido, usa registri vari, è padrone della tecnica e fa tesoro delle esperienze maturate.
Viaggiatore nella vita, i titoli dei suoi brani richiamano canyon, paesi africani, deserti… e le scene raccontate, se di racconto si può parlare, son condite di preziosi aneddoti offerti dai suoi compagni di viaggio. I suoni di una danza tribale africana sono rivissuti attraverso il canto della batteria e del basso. Quando l’atmosfera si fa più calda e ricca di energia, si inseriscono note di chitarra. Infine il sassofono nel momento di maggior tensione, quando anche i colori tendono a cambiare sfumature.
Potter non è sassofono con un gruppo di supporto. La sua è una idea che necessita di compagni con cui dialogare e di una forte intesa. Non esiste un indiscusso protagonista, ma un progetto comune guidato da questo giovane americano. La sua interpretazione del Jazz è un mix di potenza, controllo ed espressività, rispettosa delle scuole di John Surman, John Coltrane, Joe Henderson e Wayne Shorter. Obiettivo: la semplicità. Se si chiudono gli occhi, lo strumento musicale vive e danza sul palco, domato solo dalla mano dell’uomo che ne controlla i battiti e gli impulsi. La sua voce vien prima affievolita per lasciare che un crescendo di note calde e frementi si liberino secondo armonia, come la gioia e la passione esplodono in un essere umano.
Un pubblico estasiato ha comunicato le proprie emozioni e regalato applausi arrivati copiosi: importante risultato in una realtà esigente come quella torinese. La Chris Potter Band ha svelato uno spettacolo fatto di musica risultante da una coesione interna che va oltre la perfezione dell’esecuzione. Ogni protagonista ha contribuito con i propri sogni e ricchezza alla sintonia ed armonia che dal palco son volate al pubblico. E’ stato regalata un’esperienza in una dimensione parallela dai morbidi confini che tendono ad intrecciarsi con la nostra realtà. Visioni, immagini, aliti di vento o profumi: il titolo di una composizione è un punto di partenza che si perde in libera fantasia, sentimento e suggestione.
Quattro strumenti che intrecciano i propri suoni differenti in un amalgama coinvolgente. Tanto ritmo, tanto. Ritmo intervallato, come la nostra stessa vita quotidiana è fatta di tranquillità, agitazione, passione, romanticismo e contemplazione. Tante sfumature raccolte, riprodotte nelle note e nella mente dell’ascoltatore, tanti colori, tante vibrazioni.
“One big function of art is your trying to communicate something that you can’t just say in words. You’re trying to communicate an experience. This is what it feels like to me. This is what being alive feels like to me and let me share it with you. And that radiates out, and being able to communicate that is kind of a magical thing, and somehow art is able to do that.” – Chris Potter
Gli ultimi due lavori di Chris Potter sono LIFT (2004) e Traveling Mercies (2002) realizzati con Scott Colley, Kevin Hayes, e Bill Stewart.
Wayne Krantz ha lavorato con gli Steely Dan, Michael Brecker e Billy Cobham. Visionario, convinto sostenitore dell’unicità tra melodia e ritmo – le ricorrenti, caratteristiche pause rappresentano per lui “il silenzio che precisa il ritmo” – possiede l’invidiabile capacità di immaginare “cosa si nasconde dietro l’angolo” di una tessitura musicale.
Ari Hoenig, attraverso successive dissezioni e ricomposizioni, accelerazioni e ralenti mantiene una costante pulsazione cinetica sotterranea, sia fisica che mentale
Fima Ephron è attivo nell’ambiente jazz “di frontiera”, soprattutto con le formazioni neo klezmer Lost Souls e Hasidic New Wave e con la propria Soul Machine.
di Cinzia Modena