Collezionismi e seduzioni lontane
Giugno 24, 2002 in Medley da Sonia Gallesio
Il Museo Cantonale d’Arte di Lugano, nel medesimo spazio espositivo, ospita due distinte mostre pensate ed organizzate al fine di integrarsi reciprocamente: si tratta di Arte Africana dalla Collezione Han Coray e di Han Coray – Ritratto di un collezionista. La prima, realizzata con l’impiego di reperti raccolti dal noto gallerista, presenta circa 200 opere relative all’art nègre; la seconda, attraverso pezzi di svariati artisti quali Arp o Richter, racconta i rapporti di Coray con il mondo della modernità creativa. Nell’ambito di Han Coray. Ritratto di un collezionista, ritroviamo una sessantina di lavori tra dipinti, incisioni, disegni e schizzi – alcuni di essi realizzati da grandi maestri quali Modigliani, Kandinsky, Klee, Kokoschka, Jawlensky. L’opera Tre bagnanti (1908/1909 circa), penna ed inchiostro su carta di André Derain, oltre a testimoniare l’influenza dell’arte africana sulle avanguardie dei primi del novecento, ricorda – grazie all’inconfondibile posizione del braccio della figura centrale, alla rotazione della testa del soggetto di destra, nonché alla struttura dell’intera composizione – il celebre capolavoro picassiano Le demoiselles d’Avignon. Proprio Picasso fu uno dei grandi innovatori che riconobbero l’alto valore plastico delle creazioni africane: con il suo lavoro, contribuì ampiamente alla diffusione dell’interesse per le stesse, il quale superò presto lo sterile apprezzamento iniziale per la sola diversità etnografica.
Le opere d’arte africana sgomentano, ruvide nella loro crudezza espressiva, talvolta intrise di pulsioni sessuali e superstizione o, ancora, celanti remoti richiami. La loro singolare asprezza deriva dalla natura dei materiali impiegati ma anche dalle particolari morfologie raffigurative – di forte impatto visivo. Un allestimento quale Arte Africana può fornirci innumerevoli spunti ed informazioni: apprendiamo, ad esempio, quanto spesso vengano utilizzati – per realizzare i noti feticci – cuoio e pelo di animale, e come, frequentemente, gli occhi degli stessi siano realizzati con frammenti di vetro incastonati. Un discreto numero di reperti ci dimostra che proporzioni e forme, nell’ambito dell’art nègre, vengono stravolte e reinterpretate piuttosto spesso: ritroviamo statuette e maschere adornate per mezzo di collane aventi ciondoli più grandi di naso e bocca, talvolta ampi quasi quanto il viso. Gli oggetti della quotidianità, in prevalenza gioielli, entrano a far parte dell’opera consentendo un concreto intrecciarsi tra vita materiale e energia spirituale. Particolari figure rimandano ad una nota pratica di incisione della pelle, a scopo ornamentale, che produce cicatrici sul volto e sul resto del corpo, ed – altresì – alla famosa concezione estetica che rende necessario l’impiego di anelli infilati uno sull’altro, al fine di rendere il collo umano innaturalmente lungo. Tra le opere più incisive, da ricordare due suggestive maschere, di fatto lunghi cappucci, interamente in tessuto e fibra di rafia intrecciata, una statua magica nkondi – realizzata con legno, chiodi, cunei e perni di ferro e, non ultima, una figura femminile dotata di cassettine con specchio, sulla pancia e sulla schiena.
Innumerevoli i reperti di indubbio valore plastico: possiamo ammirare una suggestiva pipa ad acqua, statue funerarie in terracotta, manufatti molto elaborati (maschera bifronte con gruppo di figure sul capo, legno policromo, Nigeria), opere che inglobano o raffigurano lucertole, serpenti, lepri o antilopi – queste ultime ritrovate più volte, ad adornare poggiatesta di legno o sulla sommità di interessanti copricapo. Una piccola raccolta di oggetti d’uso quotidiano ci mostra grandi cucchiai in avorio, amuleti, fischietti, forcine, pendagli, pesi d’oro. Degne di nota, inoltre, le varie sedie in legno esposte (molto più simili a sgabelli), una bambola mukishi in corda e tessuto annodato a forma di rete, alcune placche commemorative in ottone, una figura femminile lignea con capelli incollati sui genitali dipinti di rosso. Buona la disposizione dei reperti, in molti casi fortemente suggestiva; meno azzeccata, a mio parere, la scelta di non destinare aree separate alle due diverse mostre: la presenza dei dipinti unitamente alle creazioni africane, distraendo e disorientando il visitatore, si rivela piuttosto dispersiva. Proprio di recente, e l’affermazione aveva un tono ironico, ho sentito dire che ciò che distingue un’opera d’arte da un manufatto è la personale valutazione del critico: nel caso dell’art nègre, possiamo proferirlo senza paura di esagerare, sono l’energia della manualità e la potenza del desiderio a fare la differenza. L’arte africana è odorosa, vibrante, carnale, inquieta: si nutre di una sacralità che sa di terra, di natura e di sesso, ed è costituita da una musicalità ritmata ed incalzante – che comincia piano e poi ti esplode nel profondo.
Arte Africana dalla Collezione Han Coray (1916-1928)
Han Coray – Ritratto di un collezionista
Museo Cantonale d’Arte
Via Canova, 10 6900 Lugano Svizzera
Dal 16 marzo al 30 giugno 2002
Orari: da mercoledì a domenica dalle 10.00 alle 17.00; martedì dalle 14.00 alle 17.00; lunedì chiuso.
Sito consigliato: www.museo-cantonale-arte.ch
Per informazioni: + 41 91 9104780
di Sonia Gallesio