Come saltare la fine del mondo
Marzo 12, 2010 in Racconti da Redazione
Erano ormai cinque anni che vivevamo e lavoravamo nel futuro. Il nostro numero era enorme. La prima squadra che venne qui, nel futuro, era composta da venti uomini, esperti in vari campi della scienza. Ora c’era un’infinità di uomini in tutte le principali città della terra. Ovviamente ancora prima era venuto Vico, l’inventore del varco, in un viaggio esplorativo. Io ero presente la prima volta che Vico passò nel varco, la prima volta in cui un uomo viaggiò nel tempo, controllavo la strumentazione, in qualità di testimone ed amico.
Lui ed io ci conoscevamo da tanti anni, dal liceo. Dopo il diploma lui andò a studiare fisica, specializzandosi poi in fisica subatomica, o qualcosa del genere, mi sembrano tutte uguali. Divenne presto una celebrità nel campo, ma è sempre stato un uomo strano. Gli arrivarono offerte da società private e da numerose università, tra le più importanti. Tutti pensavano, io compreso, che avrebbe accettato di lavorare per qualche società che gli aveva promesso fondi quasi illimitati ed una grande libertà, o al massimo una cattedra in una grande università, con laboratori molto attrezzati e grandi fondi. Lui stupì tutti andando a tenere un corso di fisica generale in un’università di provincia. In seguito mi confessò che non avrebbe mai potuto lavorare con la pressione di dover garantire un guadagno ad un’azienda. Il rettore che l’aveva assunto gli aveva concesso una totale libertà, e mi confermò totale, sul loro piccolo laboratorio pur di vantare uno studioso di tale calibro nell’organico.
“Inoltre i miei studi si stavano orientando in un campo talmente nuovo della fisica che i laboratori già esistenti erano totalmente inadeguati ai miei scopi. Metterne su uno dal niente era praticamente più semplice che riadattarne completamente un altro. E se le mie teorie erano giuste, e i miei risultati lo dimostrano, non era il costo degli strumenti il problema, quanto ripensare l’utilizzo di tecnologie già esistenti. No, amico mio, solo qui mi è stata concessa l’unica cosa che mi serviva davvero, una totale libertà d’azione.”
Io dopo il diploma mi iscrissi alla facoltà di storia. Poi cambiai e passai ad archeologia. Mi piaceva davvero, ma non riuscivo a specializzarmi in un periodo, non ne trovavo uno che mi appassionasse davvero. Mi laureai insoddisfatto con una tesi che analizzava il presente visto come da uno studioso del futuro. I professori sembravano un po’ perplessi alla presentazione del mio lavoro e penso che alcuni ci si siano fatti anche qualche risata sopra. Il mio relatore commentò solo con: “Bella storia…”
Dopo la laurea non potevo dedicarmi all’archeologia vera e propria, non sapendo cosa studiare. Mi rimaneva l’insegnamento, ma non ero così ortodosso da essere conteso tra le scuole prestigiose.
Durante gli anni d’università avevo un po’ perso i contatti con Vico. Naturalmente seguivo la sua carriera, era famoso a modo suo. Lui avrebbe fatto lo stesso con me, se ci fosse stata una carriera da seguire, penso. Comunque ci eravamo visti qualche volta. Mentre cercavo lavoro mi capitò di incontrarlo un paio di volte e lui mi chiese se mi sarebbe andato di insegnare nell’università in cui era lui. L’idea mi allettava abbastanza. Grazie al suo interessamento ottenni la cattedra di storia e approfittai della stabilità ottenuta per sposarmi.
Passarono quasi quindici anni senza avvenimenti degni di nota. Io mi ero assestato in quella comoda vita e nel matrimonio. Vico divenne un amico fedele. Fu il mio testimone. Era anche quel pizzico di follia geniale che mi movimentava un po’ la vita. Ma non dovete pensare a noi come a due avventurosi professori. Io avevo messo su una bella pancia e Vico era completamente calvo. Sembravamo esattamente quello che eravamo, due professori di provincia. Ma, intellettualmente parlando, lui era sempre brillante, mai statico o pedante. E la sua cultura spaziava in tanti campi molto diversi tra loro. Non ho mai incontrato una persona che avesse idee talmente bislacche, ma stimolanti, sui pittori rinascimentali, ad esempio. Passare il tempo con lui era divertente.
Poi una sera venne a trovarmi a casa. Io ero in poltrona a leggere, fumando la pipa. In realtà non amo la pipa, ma il mio amore per quell’immagine del professore di mezza età con il tweed e la pipa mi faceva fare cose strane. Avevo comprato una costosissima, per le nostre tasche, giacca uguale a quella che sfoggiano i professori delle università inglesi, tanto per dirne una. Mia moglie dice sempre che sono troppo schiavo delle mie idee romantiche. Comunque quella sera Vico arrivò e mi chiese di accompagnarlo in laboratorio. Aveva un’aria strana, era eccitato come non mai.
“Sono dieci anni che lavoro a questa macchina, ieri finalmente ha funzionato. Ovviamente la teoria è quella che ho sviluppato all’università, quella che tanto scalpore aveva suscitato nell’ambiente. Ma nessuno ha capito dove potevano portare quelle idee, la loro vera portata. Tutti presi nelle loro teorie, io ho fatto qualcosa, fatto, capisci? Stasera proverò quello che io già so. Tu sarai il mio testimone.”
Continuava a ciarlare, non lo seguivo molto bene. Sembrava che continuasse a parlare di qualcosa, ma si era dimenticato di informarmi dell’argomento. Tante volte in quegli anni avevo cercato di avvicinarmi al suo lavoro, ma per la mia mente si trattava di concetti inesplicabili. Dopo che ebbe cercato di spiegarmi come un gatto poteva essere vivo e morto contemporaneamente purché fosse chiuso in una scatola lo avevo supplicato di versarmi da bere e di dimenticare che gli avessi chiesto qualunque cosa. Così quella sera non tentai di capire tutto quello che mi diceva, tentai solo di estrapolare i fatti, quelli li avrei potuti capire.
Fu un fiasco. Arrivai al laboratorio che ne sapevo quanto prima.
“Ecco entra! Guarda in quella gabbietta, c’è il criceto che per primo ha effettuato il viaggio. Peccato che non abbia un nome, passerebbe alla storia. Poi ho fatto passare il mio cane. Il secondo essere vivente, capisci? Non dovevo chiamarlo Fuffi, suonerà ridicolo nei libri. Ci studieremo un nome per il criceto, che ne dici? Tu sei più bravo di me in queste cose.”
Mi guidò verso il fondo del laboratorio. Io lo seguivo abbastanza frastornato. Qui mi indicò un cilindro del diametro di un paio di metri e lungo circa cinque, sembrava cavo. Molti cavi partivano da esso. Era sdraiato per terra, quindi ci si sarebbe potuto vedere attraverso mettendosi davanti all’imboccatura. Lo feci e vidi solo un muro dall’altra parte. Non capivo.
“Che cosa dovrei vedere?”
“A prima vista non si nota nulla, è vero. Ma stai a vedere ora!”
Detto questo girò intorno al cilindro. Mi aspettavo di vederlo al di là, attraverso quello che in fondo era un enorme tubo, ma niente. Passarono molti secondi. Mi sporsi per vedere dove si fosse cacciato il mio amico, lo chiamai.
“Sono dall’altra parte della macchina! Capisci ora? Quello che vedi non è il muro contro cui sono io!”
“No, aspetta, mi stai dicendo che sei dall’altra parte?”
Camminai verso di lui. Effettivamente era dove aveva detto di essere. Ma doveva essersi spostato, altrimenti la cosa non si spiegava.
“Guarda, ora ti faccio vedere un’altra cosa. Metto questa sedia qui. Vedi che dall’altra parte si dovrebbe vedere. Andiamo di la.”
Dall’altra parte guardammo nel tubo. Niente.
Feci per passare nel tubo, per andare a vedere dall’altra parte senza doverci girare attorno. Vico mi fermò.
“Aspetta. È presto per provare a passarci in mezzo. In realtà non so per davvero cosa succede. Il cane ed il criceto sono tornati sani e salvi
. Sapessi che esperienza vederli entrare da una parte, ovviamente li avevo entrambi legati con una lunga corda, e non vederli uscire. Ma attraverso il tubo li vedevo ancora. Fino a che non si sono spostati, ovviamente. Se attraversi questa macchina non sei più qui! Non è fantastico?”
“Ma allora dov’erano? Dov’è che sono andati?”
“Se la mia teoria è corretta, ed è considerandola giusta che ho costruito la macchina, hanno viaggiato nel tempo! E ora, con te come testimone, anch’io compirò il viaggio.”
Mi misi a ridere. Non potevo certo credere a tutte quelle storie. Se davvero quel tubo era strano, questo dovevo ammetterlo, non provava certo i viaggi nel tempo. Vico dovette pensare che fossi un poco sotto shock, e forse aveva ragione, perché mi versò un dito di brandy da una bottiglia li vicino. Dopo averlo bevuto mi sentii un po’ meglio.
“Dici davvero sul viaggio nel tempo? Giuri?”
“Ne sono sicuro. Non ne ho ancora le prove fisiche, ma dentro di me, si, ne sono sicuro. Ora io entrerò li dentro, il primo uomo a farlo. Tu monitorerai l’energia della macchina. No, niente di difficile, devi solo tenere d’occhio questo indicatore. Voglio vedere se il consumo varia se varia la massa della materia che viaggia.”
“Ma sei sicuro? Voglio dire, così, noi due soli, di notte, non so, potrebbe essere fatto meglio o chissà…”
Cercavo di temporeggiare. Ero eccitato all’idea, non posso negarlo, ma mi serviva tempo per assimilare l’idea.
“Ci ho già pensato anche troppo. È tutta la vita che aspetto questo momento.” Mentre diceva così si incamminava nel tubo.
“Penso di stare via solo pochi minuti, ma dovrei riuscire a parlarti. Sentivo il cane abbaiare attraverso la macchina. In seguito proveremo anche con delle radio. Vedremo cosa passa e cosa no. Accendi la telecamera, riprendi tutto.” Sorrise euforico. “Augurami buona fortuna”
Lo feci.
Quello che accadde dopo ormai è storia. Vico rimase nel futuro, anche se ancora non sapevamo per certo che fosse tale, per dodici minuti. Continuò a parlarmi per tutto il tempo. Disse di trovarsi nel suo laboratorio, lo descrisse come abbandonato da decenni, forse centinaia di anni. Tutto era silenzioso dall’altra parte. La sua macchina non c’era in quel laboratorio, ma vedeva una specie di varco dai contorni tremolanti. Guardandoci direttamente dentro vedeva ancora me. Poi tornò da me e provò ad attraversare nel senso inverso. Si ritrovò nello stesso tempo in cui era appena stato. Riconobbe anche le proprie orme di pochi secondi prima. Solo era uscito dall’altro lato del tremulo varco. Quando finì di entrare ed uscire aveva un’espressione strana. Andammo a dormire scambiandoci solo poche parole. Come per un tacito accordo non parlammo della macchina.
Il giorno dopo ci recammo insieme dal rettore per raccontare cosa era successo. Ovviamente non riusciva a crederci. Ma Vico si rifiutò di compiere un altro esperimento solo per lui. Volle scrivere molte lettere a luminari vari, sia fisici che matematici. Chiamò un astronomo, un cineoperatore e il governo mandò un consulente scientifico di un qualche tipo. Vico era stato molto vago nelle sue lettere, i più vennero senza sapere cosa aspettarsi.
Come ho già detto il primo vero viaggio, quello ufficiale, fu compiuto da venti persone. Prima Vico ripeté gli esperimenti della sedia e del cane, poi ci decidemmo ad entrare. Il rettore volle entrare insieme a Vico, in testa a tutti. Io chiudevo la fila.
Quello che trovammo ci impressionò grandemente.
di Stefano Iozzo