Come solo camminare | Sudate Carte Racconti I edizione
Gennaio 8, 2003 in Sudate Carte da Redazione
Sbatte una porta. Un dito chiama l’ascensore. Avvolto nel soffice silenzio rumoroso della casa, un rubinetto mal serrato gocciola sulle stoviglie ammassate. Presagi di un pomeriggio inutile e malinconico scandiscono il trascorrere del tempo. Il male di vivere trasuda dagli inerti messaggeri della quotidianità. La TV vomita parole inutili. Da una radio, impulsi effimeri prendono natura. Io, sbattuto accanto al cestino dei rifiuti, mi osservo rotolare lento, nel mio letto, inconscio, in crescente alienazione con la normale condizione umana. Arrancano, nelle arterie, pallidi fiotti di plasma, mentre il filo dell’asciugacapelli, posato sul davanzale, avvolge in una morsa la luce proveniente da due sentinelle luminose, ritte ai lati di uno specchio. Dall’atmosfera che satura le stanze si sente una donna leggere versi su se stessa.
Ormai da tempo, la mia mente partorisce assurde forme di infinite dimensioni, assonanze inconcepibili dall’intelletto, mentre la pazzia, latente, impregna di rosei pigmenti le lignee pareti del mio cervello.
Infastidita, la razionalità sgrana le ruote dei suoi freddi e aridi meccanismi metallici, sempre più velocemente, sempre più rumorosamente. Le antitesi che si ripartiscono il mio ego annegano ferocemente in una lotta immateriale, incontro di corpi senza sostanza che dissuonano in un crescendo sinfonico. Si scontrano, si accaniscono, l’una contro l’altra, si afferrano. Come spiriti immondi scivolano veloci e si trafiggono, si avvolgono e si mischiano nell’ossessiva ricerca di uno spasmodico orgasmo che liberi il calore della follia o l’effimero secreto della ragione. Calore o madore… . Calore o sudore.
Calore. Aura del nulla, soffio di vita, vitale inconsistenza. Incontenibile e sfuggente. Implasmabile, ribelle. Calore o sudore.
Sudore. Veste del certo, materia vissuta, torbida esistenza, libertà repressa, spontaneo adattamento.
La stufa è accesa, ma un soffio d’algore mi stride nel petto. L’assurdità della sedia rotta davanti al frigorifero prelude alla paura di sentirsi soli e rinchiusi mentalmente in ogni cosa popoli questo ambiente. L’assenza di vita di ogni oggetto riecheggia nel mio spirito.
Poi una mano… Nella notte limpida e tagliente, una mano, sulla mia solitudine. Afferra la mia, calda ed inerme. La sua pelle, fresca e decisa, mi avvolge. Lei…
Seppur la conosca da poco, il suo profumo mi incanta, il suo sguardo mi inebria. La sua bellezza è uno squarcio d’infinito che trapela dal cemento. Le stelle in cielo sono miliardi, la radura è immensa, il buio che lacrima fitto su di lei le conferisce magnificenza. Adagia il mio capo smorto sulle sue gambe, i miei piedi arrancano fra le nuvole. Il timore e il sogno di perdersi fra quei sentieri dell’oblio: sicurezza del suo corpo accanto al mio.
Tra le gelide pietre dei muri la luce è fioca di una lampada a gas.
Flaccida bonaccia increspa la mia essenza, ma, nella rapidità di sogno, un bisbiglio mi giunge all’orecchio. E’ il respiro dell’eternità che esala da quel luogo e mi accarezza il viso e poi anche il torace ed infine mi preda interamente. Lento cresce e mi parla; ora urla, quasi grida e sotto di sé piega ogni flebile esistenza. Sorrido e quanto spira!
Le vene si rigonfiano e riprendo forza quando l’ orgasmo avvolge la mia coscienza, si sprigiona e stilla il secreto dell’unione. Esulta la mia anima e purifica il mio corpo nella sacra acqua. Nella linfa vitale scorrono quegli istanti di estasi infinita. Benedice col sudore l’indescrivibilità di un attimo nello sguardo di un angelo, il sapore svanito dell’estasi, il raggiungimento della pace immensa. Un filo caduto dall’abito di Dio si è posato accanto a me.
di Davide Giordano