Con le peggiori intenzioni
Luglio 23, 2005 in Libri da Stefano Mola
Titolo: | Con le peggiori intenzioni |
Autore: | Alessandro Piperno |
Casa editrice: | Mondadori |
Prezzo: | € 17,00 |
Pagine: | 304 |
Quando un libro diventa un caso mediatico, resta ancora tale? Insomma, ha ancora le pagine come tutti gli altri? È possibile leggere i suoi caratteri neri su sfondo bianco, oppure c’è prima un lungo lavoro per toglierci dagli occhi tutte le incrostazioni, difficile quanto pulire le cozze? Mai come in questo tempo il mega-frullatore mediatico desidera come ingredienti solo casi eccezionali, venghino siore e siori, non ha mai fatto caldo come adesso, non ha mai piovuto tanto come oggi. L’unica speranza per un aggettivo è trasformarsi nella sua versione marvel (il superlativo). Il livello medio di una conversazione, per essere notata, deve partire dall’insulto personale.
Chi vuole farsi un’idea del dibattito, può leggere dapprima la bomba a mano lanciata da Aldo Nove, e poi la faida riassunta da Giuseppe Genna sul sito I Miserabili. Occorre anche aggiungere che l’autore dà una mano, assumendo un atteggiamento distaccato e dandy e compiacendosi in giudizi un po’ snob, dispensati con lieve noia (si veda la video intervista fatta da Daria Bignardi su La7). Per avere un’idea di cosa ne pensa invece la ggente, è molto interessante spulciare tra le recensioni che i naviganti possono inserire nel sito di internebookshop. Scegliendo a caso, si vede facilmente come il libro non lasci indifferenti, oscillando le reazioni tra odio e amore (entrambi in versione abbastanza assoluta).
Dopo aver pagato anche noi il nostro debito al moralismo qualunquista e alla eco dei media, proviamo ad iniziare a parlare del libro. Brevemente, qualche cenno sulla storia. Il primo dato assoluto e importante è proprio questo: una storia c’è, e robusta anche (e sottovoce sospiriamo, finalmente, perché non se ne può di esili indagini attorno al proprio ombelico, pur se sostenute da qualità d scrittura come sempre indubbie).
Che cosa racconta? Le vicende di una famiglia ebrea (prima decisamente ricca, poi un po’ meno) dal dopoguerra fino ai fulgori dei famigerati anni ottanta. Il punto di partenza è la straripante e gaudente figura di Bepy Sonnino, sopravvissuto alla deportazione. Forse per reazione, forse per talento naturale, reagisce all’ombra mortale che lo ha sfiorato con un vitalismo e con una esuberanza che si concentrano soprattutto nella sfera sessuale. La sua debordante figura, la sua programmatica ricerca del piacere, dello stile, la sua parabola da stella cadente negli affari si ramificano e influenzano indelebilmente tutta la progenie fino al nipote Daniel, che è l’io narrante, sessualmente complessato, che spera con frustrazione di trovare un riscatto nella letteratura e nell’insegnamento, precariatamente esercitato all’università.
A contorno, il padre di Daniel, un gigantesco albino, cresciuto nel culto dell’avvenire e e del lavoro. Lo zio Teo che si trasferisce in Israele. Un cugino gay. L’amico fighetto. La frivola e bellissima Gaia, che per innamoramento non corrisposto cause la caduta di Daniel. Il quale avrebbe voluto, come dichiara verso la fine del libro, parlare centralmente solo di questo. Ma forse si rende conto, cosa che in fondo vale per tutti noi, che è impossibile capire veramente noi stessi senza scavare dentro i simulacri di colori che ci hanno preceduto generandoci.
Ecco quindi che il romanzo deve obbligatoriamente procedere a singhiozzo nel tempo, alimentandosi di porte laterali, facendo della digressione la liquida struttura del libro, riuscendo sempre a mettere a fuoco le origini dei comportamenti, descrivendo con martellante avverbialità i punti di svolta delle esistenze di volta in volta sul palcoscenico, nel tentativo di rendere ragione della propria. Aldo Nove sempre nella famigerata recensione, parla di conflitto generazionale elegante e composto. Forse perché qui nessuno squarta il proprio padre con un’ascia, oppure perché non ci sono lavoratori proletari…
Il mio consiglio, se volete accostarvi a questo libro, è di lasciare da parte la lente dell’ideologia (e forse dell’invidia per il successo altrui), e di lasciarvi trascinare dalla verve affabulatoria e torrenziale di Piperno. Che forse non sarà Marcel Proust, o Philip Roth (si permetterà mai a qualcuno di essere solo se stesso, senza la necessità di appicicargli subito una figurina ingombrante?), ma sicuramente ha scritto un libro denso, con una storia strutturata e ricca di dettagli, con una lingua assolutamente non banale. Come dire, ce ne fossero.
Un’ultima nota: la valanga di commenti, sempre su internebookshop di cui sopra, che deplorano la difficoltà di lettura della lingua di Piperno. La dicono lunga sullo stato desolante dell’acculturazione italiana. Forse la scuola non riesce più, o non ha più voglia, di insegnarci qualche parola difficile ogni tanto. La semplicità di plastica è molto più rassicurante, oltreché falsamente democratica.
di Stefano Mola