Corea e Giappone, nuova ossessione
Novembre 24, 2003 in Spettacoli da Redazione
Applausi a scena aperta. Come due anni fa per “Chingu – Friends” di Kwak Kyung-taek è stato ancora una volta un film coreano a far salire la febbre da festival. Sal-Eui-Choo-Eok – Memories of murder di Bong Joon-Ho è un capolavoro assoluto del genere thriller che meriterebbe assolutamente di venire distribuito nel nostro paese. Ritmo, tensione narrativa, attori carismatici, storia avvincente, fotografia calibrata e un finale che lascia senza fiato. Il film è paradigmatico di una cinematografia che, unica al mondo, riesce a contrastare con il proprio mercato interno lo strapotere statunitense.
E guardando l’opera seconda di Joon-Ho si capisce perché: la grammatica c’è e c’è pure la sintassi. Il cinema coreano partorisce plot che vengono comprati ad occhi chiusi negli States e rifatti con attori americani. C’è un signore a Hollywood che di nome fa Roy Lee e di mestiere fa l’intermediario. Fra chi? Fra le majors californiane e gli studi di produzione del suo paese d’origine. Il pubblico americano, si sa, è pigro e non ha voglia di leggere i sottotitoli. E così film europei e asiatici di successo vengono rifatti uguali in tutto e per tutto agli originali con attori dai nomi altisonanti. E il giochetto funziona, basti pensare a “Ring” di Gore Verbiski copia carbone di “Ringu” di Nakata Hideo. Giappone e Corea del Sud hanno sostituito Francia e Italia nel lavoro di ctrl+c ctrl+v dei post-tycoon californiani.
Hideo Nakata è il più saccheggiato dei registi orientali, ma presto ci si accorgerà di quanto è bello il cinema che si produce a Seul, Pusan e dintorni. Il film di Bong Joon-Ho, le cui scene d’apertura e di chiusura valgono da sole il prezzo del biglietto, è un poliziesco di stampo hollywoodiano nel quale si confrontano un poliziotto di campagna e uno sbirro di città sguinzagliati sulle tracce di un serial killer che attende le notti di pioggia per uccidere donne indifese che camminano su di una strada di campagna. Il finale è folgorante, assolutamente nuovo, originale, dunque non raccontabile. Lo lasciamo tale con la speranza che qualche illuminato distributore italiota abbia le palle per mandare in giro qualche pizza nei grandi centri dove – comunque – il pubblico potenziale non dovrebbe mancare.
Bello, terso come un vetro e ricco di un trasparente lirismo è Haensun – The coast guard di Kim Ki-Duk con il Tom Cruise coreano tale Jang Dong-gun che avevamo già visto carismeggiare e jamesdeaneare nel succitato “Chingu”. Al confine fra il Nord e il Sud della Corea un soldato, per errore, spara contro una coppia di giovani innamorati uccidendo il ragazzo. Questo trauma fa piombare nella disperazione i due superstiti, il militare e la ragazza. Una lucida parabola sull’assurdità e sulle contraddizioni della politica, ma anche della mente umana.
Ji-goo-Ruel-Ji-Kyeo-Ra! – Save the Green Planet di Jun-Hwan Jang è un favola ambientalista fatta di torture, rapimenti, teorie del complotto e ambientalismo che ha vinto il premio per la miglior opera prima al Festival di Mosca. Sempre fuori concorso sono stati proiettati “Geu Jip Ap – Luce invisibile e Kim Gina Eui Bidio Ilgi – Gina Kim’s Video Diary di Gina Kim ibridi fra video performance e diario filmato intimo.
Sparita dal programma la sezione Nipponica curata da Nicola Rondolino i filorientali hanno comunque trovato pane per i loro denti. L’omaggio a Kinji Fukasaku è cominciato con Batu Ru Rowariau – Battle Royale pellicola iperviolenta tratta dal controverso libro di Koshun Nakami. Quarantadue studenti vengono spediti su di un’isola e hanno tre giorni per uccidersi a vicenda. Soltanto colui che sopravvivrà potrà ottenere la libertà e tornare a casa. Violenza allo stato puro, senza tanti fronzoli e privata di qualsiasi pudore nei confronti dello spettatore, la cifra stilistica di Fukasaku è – non a caso – punto di riferimento per Quentin Tarantino.
Nell’eterogeneo panorama del fuori concorso si è visto anche Ju-On: The grudge 2 di Takashi Shimizu che ne sta rifacendo il remake negli Stati Uniti sotto la supervisione di Sam Raimi. Un brivido ha percorso la schiena degli spettatori torinesi. Turigliatto & C. non hanno lasciato nulla al caso programmandone la prima italiana a mezzanotte e mezza…. Uno degli elementi fondamentali del cinema d’altronde è il sadismo.
Chiudiamo con la Malesia che ha consegnato al festival una delle commedie più positive e solari di tutta la rassegna, Rabun di Yasmin Ahmad, una storia familiare fatta di quotidiani gesti d’amore e di un calibrato dosaggio di comicità e malinconia. Ahmad disegna con impressionistica leggerezza una storia che fa ridere e riflettere, rasserena e incanta. Punta dell’iceberg di una cinematografia alla quale il Festival ha dedicato un particolare occhio di riguardo con Focus Malesia, mini rassegna all’interno delle produzioni fuori concorso. Come già accaduto con altre cinematografie d’Oriente anche l’albeggiante produzione malese approderà in Italia grazie alla promozione festivaliera? Se Turigliatto possiede la lungimiranza dei suoi predecessori allora potremo forse scoprire nelle prossime stagioni una nuova frontiera della settima arte.
di Davide Mazzocco