Cosa c’è dietro le fiabe
Agosto 2, 2007 in il Traspiratore da Redazione
Scenario: bosco, castello.
Occorrente: casetta di marzapane, bastone e gambo della pianta di fagioli, mela, scarpetta, cenere, rose…
Per scrivere la sua originale opera “Il mondo incantato”, tra il 1975 ed il 1976, Bruno Bettelheim si serve di questi antichi e preziosi ingredienti, dei quali alcuni, ad esempio quelli relativi a “Cenerentola”, risalgono al IX secolo a.C. Nella sua opera, l’autore sostiene la tesi secondo cui il modo migliore per permettere al proprio figlio di superare serenamente il conflitto edipico e arrivare alla maturità sessuale sia la lettura delle fiabe.
In ogni fiaba, l’eroe è umano e pone il bambino davanti a problemi umani. Ad esso non è di solito assegnato un nome preciso, ma solo descrittivo (Cenerentola, Cappuccetto Rosso, Piccolo Principe); inoltre la fiaba non assegna nomi agli altri personaggi, con il fine di facilitare l’identificazione al bambino. Scindendo ogni personaggio in due opposti (la figura materna in madre e matrigna in “Biancaneve”, la figura paterna in lupo e cacciatore buono in “Cappuccetto Rosso”), la fiaba permette di mantenere incontaminata l’immagine buona, evitando quindi sensi di colpa per i duri sentimenti nutriti nei confronti dell’immagine cattiva. Questo riecheggia un comportamento del bambino conseguente al conflitto edipico. Nel fare ciò, la fiaba esagera bontà e cattiveria, ricalcando il modo di percepire del bambino.
L’eroe è solitamente il terzo fratello, perché è più facile identificarvisi e perché in ogni famiglia il bambino è sempre il terzo componente. È solo l’azione dell’umano eroe a trasformare la sua stessa vita, non il cambiare delle sue sembianze. Questi agisce spesso nell’isolamento come il bambino è spesso isolato e più a contatto con la natura che con l’uomo, ma la fiaba rassicura che dopo l’emarginazione avrà aiuto.
Se l’incipit “C’era una volta” colloca la vicenda in un tempo volutamente indeterminato, remoto, fantastico, la conclusione “E vissero felici e contenti” non contiene l’illusione di immortalità, ma rappresenta il trionfo del bene sul male, il superamento dell’angoscia di separazione, che molto spesso il bambino vive, causata non solo dall’unione delle istanze della personalità (e fin qui potevamo anche aspettarcelo), ma anche dei due sessi…
Chi avrebbe mai potuto immaginare che la fiaba fornisse un’educazione sessuale indiretta, ma dal risultato ben convincente? Questo perché non turba il bambino e lo conduce gradatamente ad abbandonare la repressione sessuale, partendo dalla constatazione che lui può trovare la sessualità disgustosa e che questo punto di vista ha un’importante funzione protettiva.
Accanto a dubbie affermazioni, come quella secondo la quale sarebbe dannoso porre illustrazioni accanto alle fiabe perché esse impedirebbero l’elaborazione fantastica del bambino, ve ne sono altre ispirate alla psicanalisi freudiana, e per questo forse viziate dal pansessualismo. Ma, nonostante ciò, voglio proprio “iniziarvi” a queste scoperte!
“Cappuccetto Rosso” raccoglierebbe in sé il significato per il quale una persona immatura, esposta alla sessualità, reagisce in modo edipico ad essa; inoltre troppa curiosità conduce a cattive esperienze (per di più, Cappuccetto Rosso si vuole inconsciamente sbarazzare dei concorrenti più esperti, la nonna!)
Il famigerato mantello rosso, che tanto ha ispirato la fantasia di film e non solo, rappresenterebbe la sessualità in boccio, non ancora matura, assurgendo a simbolo del “trasferimento” della sessualità stessa (con tutte le sue scoperte) dalla madre alla figlia. Anche l’idea della “gestazione” del lupo riconduce alla sessualità: il lupo non muore dopo il “taglio cesareo” e questo rassicura il bambino, il quale, in questo modo, non immagina che nel parto una madre possa rimanere uccisa.
“La Bella Addormentata” suggerisce che un lungo periodo di quiescenza e di introspezione produce massimi risultati nella maturazione, anche sessuale. Vi è un periodo di passività e di ripiegamento interiore nei mesi prima del menarca, dopo il quale, la fiaba assicura, ci sarà un’evoluzione. I genitori cercano spesso di ritardare il risveglio sessuale del loro figlio, ma, in ogni caso, le lunghe attese non oscurano la bellezza del momento che si aspetta. Salire la scala a chiocciola e girare la chiave nella toppa, le azioni che compie la protagonista prima di cadere addormentata, sarebbero simbolo dell’avvicinamento ad un’esperienza sessuale, mentre il bacio del principe romperebbe il narcisismo e desterebbe la femminilità fino ad allora scarsamente sviluppata.
“Biancaneve e i sette nani” rivela che il narcisismo, componente importante del comportamento del bambino, dovuto al complesso edipico, se mantenuto nella vita adulta, ha nefaste conseguenze (es. nella matrigna vanitosa); coloro che rimangono allo stadio pre-edipico (rappresentato dai sette nani) non conosceranno mai la gioia della vita adulta; bisogna, inoltre, abbandonare il desiderio incorporativo da cui la fiaba ha inizio, con tutto ciò che questo può significare, per giungere alla maturità.
“Cenerentola” suggerisce che, per permettere lo sviluppo della propria sessualità, bisogna saper separare il bene dal male (il vaglio delle lenticchie, che Cenerentola è incaricata di svolgere, dice che anche da un materiale umile come la cenere è possibile trarre cose di grande valore, se si sa come fare). Il focolare, posto più caldo e intimo della casa, è simbolo della madre; vivere così vicino ad esso significa un ritorno alla madre. Anticamente, custodi del focolare erano le Vestali e Cenerentola, come loro, rimane pura per cinque anni (durata del suo stato di servitù), poi si sposa. Inoltre la cenere un tempo simboleggiava purezza ed era infatti utilizzata per le abluzioni. Molto più prevedibilmente, almeno dopo tutte le pindariche ipotesi che vi abbiamo trasmesso, il principe, nell’offrire la scarpetta, offre a Cenerentola la sua femminilità.
Il titolo del paragrafo “Il sopraggiungere della maturità sessuale. Lo sposo-animale” è tutto un programma: “La Bella e la Bestia” ci insegna che la sessualità può apparire, in una visione infantile, come qualcosa di animalesco, che soltanto l’amore può raffinare, portandola a compimento in una relazione umana.
Se vi eravate chiesti perché una bella fanciulla avrebbe dovuto baciare un viscido ranocchio per incontrare l’Amore… eccovi serviti: “Il Re Ranocchio” comunica fin dall’infanzia che non bisogna aver paura degli aspetti ripugnanti del sesso. La sessualità, infatti, nella vita dell’individuo, subisce una metamorfosi che segue le fasi della sua maturazione.
Forse, dopo questo assaggio, non vedete l’ora di leggere questo accattivante libro, che di incantato ha ben poco, ma molto di misterioso. Direi comunque che sia meglio tenerlo lontano dalla portata dei bambini… quanto meno per lasciar loro ancora per un po’ (un bel po’…) la magia di tessere i loro sogni, sì, anche e soprattutto con le fiabe illustrate!
di C. Inglese