Crazy Friend
Marzo 2, 2011 in Libri da Stefano Mola
Titolo: | Crazy Friend |
Autore: | Jonathan Lethem |
Casa editrice: | minimum fax |
Prezzo: | € 14,00 |
Pagine: | 153 |
Allora, prima di tutto bisognerebbe dire che certi autori generano una specie di seguito religioso, accodano fedeli che divengono setta, che cercano di leggere qualunque cosa venga prodotta dal e sul Maestro. Il nostro Crazy Friend, ovvero Philip K. Dick è uno di quegli scrittori (e noi che scriviamo apparteniamo ai suoi fedeli).
Dunque come non affrettarsi a leggere il Crazy Friend di Jonathan Lethem, appena portato meritoriamente in libreria da minimum fax? Impossibile non farlo, pertanto eccoci qui.
Il fatto è che anche Lethem appartiene alla stessa nostra setta. A leggere queste pagine si sente un qualcosa che non si può non definire amore (nel senso letterario del termine, beninteso). Un amore grande e non cieco. Lethem riesce a definire perfettamente perché dovremmo prendere in mano i libri dello scrittore americano:
la fragilità dei rapporti, il fascino e il rischio dell’illusione, la potenza simbolica dei manufatti e la necessità di andare avanti malgrado la sconsolante frammentarietà del mondo. Com’è noto, Dick poneva due domande fondamentali – “Cos’è umano?” e “Cos’è reale?” – e vi cercava risposte in qualunque contesto gli sembrasse di poterle trovare. Alla sua morte, aveva ormai provato e scartato decine e decine di questi contesti. Ma le domande restavano. E la sua eredità più duratura è l’assurda bellezza di averle poste. [pag. 35]
Allo stesso tempo Lethem non rinuncia a descrivere le debolezze della narrativa di Dick, pur sotto la lente dell’affetto, e del perdono (come accade in ogni storia d’amore).
Ma Lethem non fa solo questo. Parla di Dick parlando di sé. Ci racconta di come Dick sia stato per lui un riferimento come scrittore, quando ancora non era proprio sicuro e splendente che ci sarebbe riuscito. Ci racconta le sue incertezze, e le sue debolezze. Ci racconta di come abbia deciso di trasferirsi a Berkeley sperando di conoscere Dick, ma riuscendo ad arrivarci solo dopo la sua morte. Di come sia diventato membro della P.K. Dick Society e dei pomeriggi passati a piegare e imbustare i bollettini che venivano spediti agli adepti.
(non so voi, ma io sono sempre molto coinvolto da chi riesce a descrivere bene quegli snodi fondamentali che stanno nell’incertezza dell’adolescenza e nell’apprendistato alla vita adulta – posto che questo abbia mai fine)
E ci fa capire quanto Dick abbia influenzato il suo approccio alla letteratura riportando alcuni suoi racconti giovanili dove l’ispirazione dickiana è chiarissima. E c’è nell’intero volume una specie di modulazione progressiva: i primi testi sono (quasi) semplicemente dei saggi. Poi il saggio si mescola progressivamente all’esperienza personale, a cominciare dal testo eponimo L’amico pazzo (che a mio giudizio è uno dei più belli del volume). E dall’esperienza personale si passa alla fiction, coi due racconti che aprono la seconda parte del volume.
Segnalo in particolare Il cambiaumore, storia di un venditore di pupazzi che durano un giorno solo, in un mondo dove paghiamo in base a come ci sentiamo (quanto più siamo “negativi” tanto più alto per noi è il costo della vita) e dove si trovano frasi come questa:
Certo che le cose cambiano in fretta in un’economia basata sull’umore [pag. 119]
(come non pensare all’andamento delle Borse mondiali, così spesso emotivamente influenzabili?)
E per finire, nella finzione, si torna a Dick in Phil sul mercato. Un Dick stanco e disilluso che torna nei suoi luoghi simbolo, avvolto in quella precarietà della visione, in quella sospensione tra reale, virtuale ed immaginario che è uno dei marchi di fabbrica della sua narrativa, ed in definitiva uno dei motivi per cui noi tutti lo amiamo.
Un libro per chi come noi è parte della setta, ma anche per chi ama conoscere le infinite vie dell’apprendistato alla scrittura, e le distorte visioni del reale (che spesso raccontano molto di più delle presunte narrazioni verità).
di Stefano Mola