Cuccette per signora | Sudate Carte Curiosità II edizione
Dicembre 22, 2003 in Sudate Carte da Stefania Martini
Anita Nair, Cuccette per signora – Neri Pozza
Sullo sfondo di un’India contemporanea, dove le contraddizioni della vita quotidiana sono forti, dove la tradizione e la modernità, alternativamente, vanno a braccetto o si scontrano, la scrittrice Anita Nair ha ambientato il suo secondo romanzo, uscito in Italia nel 2002.
Il titolo prende spunto da una realtà presente alla stazione di Bangalore dove, fino al 1998, esisteva uno speciale sportello di biglietteria per “signore, anziani e portatori di handicap”. Così pure sui treni notturni con scompartimenti riservati di seconda classe, dove esistevano le “cuccette per signora”.
Questa discriminazione mi irritò molto e così decisi che avrei scritto un libro che avrebbe rappresentato la forza di una donna a dispetto di certe generalizzazioni che la vogliono presentare come un essere debole e inutile. Se da una parte la donna indiana è consapevole dei suoi diritti e della necessità di trovare un’identità, dall’altra le tradizioni continuano ad investirla nei ruoli canonici di moglie e madre. Con il romanzo ho voluto mostrare una donna di temperamento, libera da quelle stratificazioni culturali che la coprono e la relegano in ruoli predefiniti. spiega l’autrice.
La protagonista del romanzo è Akhila, una quarantacinquenne nubile che ha sempre vissuto una vita normale, svolgendo precisi doveri senza mai rompere le consuete formalità.
Akhila non era una persona impulsiva. Si prendeva il suo tempo per ogni decisione. Ponderava, deliberava, ci dormiva sopra e solo dopo aver preso in esame ogni singola sfumatura e punto di vista, solo allora faceva la sua scelta. Persino le sari che indossava rivelavano questo tratto del suo carattere. Sari di cotone inamidato, che richiedono molto tempo e pianificazione. Non come quelle, leggere, di chiffon e di seta artificiale, che non si spiegazzano. Quelle erano per le donne volubili. Sari inamidate richiedono menti ordinate e Akhila era orgogliosa di essere una donna organizzata.
Ma una mattina si sveglia con un forte desiderio di cambiare e intraprende un viaggio in treno verso la località Kanyakumari, la città dei tre mari, dove si incontrano la baia del Bengala, l’Oceano indiano e il Mar d’Arabia.
Akhila spesso l’aveva sognato. Di essere parte di quell’onda che si rovescia negli scompartimenti e si accomoda sui sedili, sistemando i bagagli e stringendo in mano i biglietti. Di sedersi, girando la schiena al suo mondo e puntando lo sguardo in direzione della mano verso cui è diretta. Di partire. Di fuggire. Di staccare la spina. Di correre su un treno che entra in una stazione sferragliando e caracollando. Akhila è seduta accanto a un finestrino. Tutto è immobile, a eccezione del treno. La luna è alle sue spalle e viaggia con lei.
E così, alle otto e mezza di sera Akhila arriva alla stazione di Bangalore, col cuore in tumulto e una piccola onda orlata di schiuma di pura emozione che le attraversa il cervello. Entra nello scompartimento per signora, occupa il posto a lei riservato e si sente parte del ruscello che questa sera fuggirà dalla città.
Una dopo l’altra conoscerà le sue compagne di viaggio: l’anziana Janaki che si accontenta dell’affetto di un matrimonio tranquillo; la giovane Sheela che ricorda la nonna; Margaret che analizza le persone come fossero composti chimici e ingrassa il marito per minarne l’autostima; Prabha Devi che vince la paura e ritrova se stessa imparando a nuotare; e infine la violenza, l’omosessualità e la vendetta di Marikolanthu.
Akhila non racconta la sua storia, la ripercorre invece col pensiero, assorbe sentimenti e sensazioni del mondo esterno, e scioglie i mille nodi della sua esistenza in riva al mare, dove giunge al termine del viaggio e dove decide finalmente di seguire il proprio istinto, contravvenendo alle regole sociali che hanno scandito la sua vita.
Il viaggio intrapreso da Akhila è la metafora del viaggio interno alla sua coscienza più intima, il primo grande passo verso la libertà. Un viaggio nell’ignoto che poi segnerà l’inizio della sua nuova vita.
Il ritmo del treno risveglia il ritmo delle sensazioni della protagonista. Akhila compie una metamorfosi, diventa loquace, sente il bisogno di confrontarsi con le altre passeggere, sente affiorare sulla pelle il fluire della sua femminilità. Capisce che la sua vita precedente era frustrante, che non ha mai avuto uno spazio, sia fisico che psicologico, suo. Che è il momento di riprendersi gli spazi che tutta per tutta la vita le sono stati negati, sommersi dal senso di responsabilità verso la sua famiglia, che ha dovuto mantenere con il suo lavoro da quando è mancato il padre, e dall’accettazione passiva degli eventi della vita, tipica della tradizione femminile indiana.
di Stefania Martini