Dresden dolls
Febbraio 28, 2005 in Musica da Gino Steiner Strippoli
Inquietudini e sensualità in “Brechtian punk cabaret”. Questa può essere la giusta dimensione artistica dei “The Dresden Dolls”, un duo di musicisti formato dall’eclettica Amanda Palmer, cantante e pianista, e da Brian Viglione, batterista. Si tratta dell’album d’esordio, prodotto da Martin Bisi (Swans e Sonic Youth), uscito nel 2003, ma pubblicato in Italia solo oggi dall’Universal Music. Davvero un peccato aspettare cosi tanto tempo per ascoltare prodotti artistici così originali.
“Le bambole di Dresden” riportano la musica al teatro di Bertold Brecht (già altri in passato si affacciarono a B.B., primo fra tutti David Bowie ricordate?) ma in versione ironica. Dodici canzoni che delineano spiccatamente la bravura pianistica e vocale di Amanda Palmer.
Punk Cabaret? Forse. Diciamo che l’album contiene energia a dismisura di buon rock n’roll, l’inquietudine alla Nick Cave e l’aggressività della ‘sacerdotessa’ Patty Smith. Questa nuova “femme” sorprende in ogni pezzo per la sua poliedricità, sia nell’uso del suo lirismo sia nel suo virtuosismo al piano davvero eccellente. L’immagine dei Dolls di Dresden è sensuale quanto dirompente, quasi una femminilità delicata legata all’innocenza di una figura di porcellana.
Il disco ha un attacco piuttosto originale, visto che inizia con il fruscio di un vecchio disco, che dopo le prime note si incanta in un solco, fin quando arriva l’inserimento raffinato del pianoforte che si accompagna alla bella vocalità della Palmer in un ritmo potente. La nostra cantante è davvero sorprendente e allo stesso tempo teatrale. La musicalità espressa dai due riduce lo spazio del ‘palco’, come quando dirompenti si catapultano in un punk – cabaret, “Girl Anachronism”, fatto di torsioni liriche della Palmer e di continui bisbigli legati all’inquietudine sonora del pianoforte. Una canzone che richiama l’antifona per una generazione di donne neurotiche.
Suadente e sensuale Amanda nel suo cantare “Missed Me”, un aria buia e fluttuante.
Due brani che si differenziano sostanzialmente dall’intero album sono “Half Jack” e “the Jeep Song”, due pop song legate a sonorità molto aperte, ariose e chiare, di quelle tanto per intenderci che ti rimangono subito nella mente.
Per ritornare al lirismo dei “D.D.”, dobbiamo affacciarci al senso di gravità dei due in “Gravity”, rock decadente e oscuro tourbillon, contemporaneamente brillante. Perché la voce di Amanda si alterna al suo magico piano, regalando quei suoni molto dark, che sembrano trascinarci tra le ombre, per esplodere in uno strimpellio di tasti d’avorio allegro e accattivante. Uno dei brani più belli senza dubbio.
E il gioco continua, piacevole ed elegante mai stancante, in “Bad Habit”, un pezzo molto cabarettistico, in un roccheggiante duetto tra piano e voce. “The Perfecy Fit” invece fa ergere la raffinatezza vocale di Amanda. Quasi un sibilare leggerissimo di aria, il suo canto, per poi aprirsi in tutta la sua maestosità.
“Coin – Operated Boy”invece ci porta al mondo delle filastrocche, alle melodie per bambini fatte di rime, al ritmo di marcetta, sino al crescendo finale della batteria e del canto esplosivo della Palmer. “Slide” è una visone celestiale con un sottofondo di un eco, mentre il pianoforte detta note delicatissime con la drums di Viglione che ogni tanto si inserisce in piccole progressioni in marcette per poi dissolversi lasciando il campo aperto alla sola voce e piano della Palmer in un canto disperato.
Chiude questo album d’esordio dei “Dresden Dolls” un ‘superbrano’ intitolato “Truce”, una tregua d’amore di due ex fidanzati che negoziano il loro trattato d’amore. Stucchevole song, che dura oltre di otto minuti, che si fa ascoltare piacevolmente e lentamente com’è dettata dalla sua ritmica soft, cadenzata e notturna, triste e romantica, con violini finali in primo piano.
di Gino Steiner Strippoli