E per Soderbergh arrivò lo zio Oscar
Maggio 16, 2001 in Cinema da Redazione
“TRAFFIC” (Usa, 2001) di Steven Soderbergh, con Michael Douglas, Benicio Del Toro, Catherine Zeta Jones, Dennis Quaid, Amy Irving, Tomas Milian, Albert Finney
La bulimia artistica di Steven Soderbergh è un caso abbastanza singolare nella storia recente del cinema statunitense. Dopo un periodo di allontanamento dalla macchina da presa, il regista, salito alla ribalta una dozzina d’anni fa con “Sesso, bugie e videotape”, ha prodotto quattro film in due anni e mezzo. Una media che lo avvicina quantitativamente (ma non qualitativamente) a Carlo Vanzina. “Out of sight”, uscito nell’autunno del ’98, “L’inglese” ed “Erin Bronkovich”, nelle sale la scorsa primavera, e “Traffic”, uscito a marzo, sono i prodotti di un regista in ottima forma, che ama lavorare con gli attori, più che con i divi, e che dà una chance a vecchi leoni come Finney, Stamp e Fonda, che negli studios innamorati della gioventù non avrebbero sbocco.
La storia di ordinaria criminalità è raccontata con la freddezza del notomista, da questo regista che non conosce gli eccessi tipici dei suoi colleghi hollywoodiani. L’elemento più incisivo del film è la fotografia: espressionistica e manichea. Soderbergh adopera da maestro la luce, così come il sonoro, davvero molto naturalistico. Anche il suono come la fotografia ha una sua freddezza, un distacco quasi documentaristico. L’influsso europeo si sente in un film che ha tutto per accontentare pubblico e critica. Uno dei migliori prodotti dell’ultima stagione Usa.
Fra gli attori spicca Benicio Del Toro, lontano dal cliché iperespressivo al quale ci aveva abituato con “I soliti sospetti” e “Paura e delirio a Las Vegas”. Poliziotto incorruttibile nella corruttibile polizia messicana, il personaggio di Del Toro mantiene la propria integrità, pur essendo costretto dagli eventi a viaggiare, lui, vaso di terracotta, come direbbe Manzoni, fra vasi di ferro. Ma, come accennato, il regista premiato con l’Oscar dà spazio anche ad attori in prepensionamento: c’è Albert Finney, c’è Amy Irving, la prima moglie di Spielberg, assente dagli schermi da una decina d’anni, ci sono i freschi sposi Douglas e c’è Tomas Milian. Sì, proprio il commissario Monnezza che, abbandonato il cappello blu da portuale, calvo come una palla da bowling, giostra quintali di polvere bianca sull’asse Messico – California. Brutta fine per un commissario.
di Davide Mazzocco