Ernst e le magie dei surrealisti
Ottobre 9, 2002 in Medley da Sonia Gallesio
La riabilitazione della carne, riconosciuta in tutto il suo splendore, senza la quale la nozione stessa di amore sublime scompare, è esattamente uno dei grandi obbiettivi che il Surrealismo si è prefisso […]. Così, il fantasma ghignante del peccato si è dissolto alla luce del giorno rischiarato dalla bellezza della donna
[Benjamin Péret, 1956]
Io rifiuto tutta la dogmatica masochistica del cristianesimo, fondata sull’idea delirante del peccato originale nonché la concezione della salvezza in un altro mondo, con tutti i sordidi calcoli che essa vi annette
[André Breton, 1948]
Come dalla nozione di lotta di classe o di inconscio, dal Surrealismo non si può tornare indietro: col Surrealismo, qualcosa è successo per sempre
[Arturo Schwarz, dal testo introduttivo del catalogo Mazzotta]
L’esposizione Max Ernst e i suoi amici Surrealisti, allestita presso il Museo del Corso di Roma, celebra, oltre ad Ernst, altri numerosi e grandi autori – da Joan Mirò a Francis Picabia, da Paul Delvaux a Jean Arp. L’ampia mostra, costituita da circa centodieci opere, vanta un illustre curatore – il poeta, critico e gallerista Arturo Schwarz. L’intervento dell’insigne maestro risulta pressoché ineguagliabile se si considerano la sua attiva partecipazione all’avventura surrealista ed i conseguenti rapporti intessuti con la maggior parte degli artisti presentati, primo fra tutti André Breton. Il Surrealismo, al pari di un esiguo numero di altre ideologie che hanno finito per influire notevolmente sul nostro sviluppo, non è soltanto una corrente artistica bensì una scelta di vita, una filosofia dell’essere e del divenire: quasi, si potrebbe paragonare ad una portentosa equazione, ad una speciale formula da impiegarsi per tramutare l’esistenza umana in un percorso di crescita fertile e produttivo, finalizzato al raggiungimento della conoscenza del sé. Proprio come il motto scolpito all’interno del corridoio del Tempio di Apollo a Delfi (gnothi seauton), l’imperativo del surrealista è “conosci te stesso”. L’indagine interiore, infatti, attraverso mezzi un tempo sconosciuti quali la psicanalisi, permette di scoprire e soppesare particolari aspetti consci ed inconsci, di evolversi e dunque di migliorare la realtà circostante. La pulsione surrealista, a dispetto dell’ordinaria concezione che considera il cambiamento individuale quale conseguenza di una macromutazione (si pensi a talune grandi trasformazioni socio-economiche), nasce e cresce – intimamente – all’interno del singolo soggetto, nutrendosi dei suoi sentimenti e della sua consapevolezza, per poi esortarlo a rinnovare il mondo.
L’importante allestimento romano, visitabile ancora fino al 3 novembre, ci permette di riconoscere un grossolano errore che spesso si compie tentando di definire gli elementi endemici del Surrealismo: di frequente, infatti, si è portati a credere che ci sia un solo stile caratteristico ad improntare l’opera dei suoi protagonisti. Grazie alla rosa qui proposta, invece, risulta evidente come, in realtà, non sia possibile individuare un’unica tendenza pittorico-compositiva. Non si rintracciano similitudini rilevanti nella produzione di artisti quali Max Ernst e Alberto Giacometti, Breton e Magritte, Marcel Duchamp e Joan Mirò, ad esclusione, ovviamente, del principio fondamentale che ne alimenta l’intero credo – l’analisi del sé attraverso l’introspezione, il sogno, la liberazione della fantasia. Ed è esattamente per via di tale assioma che ogni autore sviluppa forme espressive dissimili, dedicandosi all’elaborazione delle sensazioni più personali e raccontando i propri mondi interiori, invisibili e segreti. L’attenta autoanalisi favorisce la presa di coscienza della condizione androgina della psiche umana, fondamento che consente il delinearsi di uno dei traguardi più importanti della ricerca degli avventurieri surrealisti – la conquista dell’amore sublime inteso come ricongiungimento di due anime fatte per completarsi vicendevolmente. A questo proposito, Péret ci regala un’incisiva argomentazione: “Il colpo di fulmine, per quanto popolare sia diventata questa espressione […], esprime con precisione la natura accecante del fenomeno di riconoscimento dell’essere desiderato, la cui complementarietà è stata improvvisamente intravista”. In tale contesto, la realizzazione della ‘coppia eletta’ (e come non pensare, di rimando, a Le Affinità Elettive di Goethe?) equivale al ritrovamento della propria metà e l’unione, al contempo sessuale e spirituale, è considerata l’unico mezzo atto al completamento di sé. La donna diventa per i surrealisti un’iniziatrice, un tramite per raggiungere l’equilibrio, una musa di impagabile fascino. Così come l’arte e la poesia si fanno strumento di conoscenza, l’amore risulta l’unico cammino praticabile verso la salvezza dell’umanità. Sarà Breton, nel 1937, a scrivere: “Il mondo intero si rischiarerà di nuovo perché ci amiamo, perché una catena di illuminazioni passa attraverso di noi” e ancora: “Il dono assoluto di un essere a un altro che non può esistere senza reciprocità [è] la sola passerella naturale e soprannaturale gettata sulla vita”, frasi che sembrano anticipare gli ormai surclassati e ridondanti dettami del pensiero new age contemporaneo. Al di là del fatto che il parlare d’amore in questi termini possa essere stato, un tempo, profondamente rivoluzionario e che oggi rischi, invece, di suonare tremendamente banale e utopistico, ciò che è importante sottolineare è lo slancio che i surrealisti dimostrano nell’affrontare la vita e nel ricercare le sue verità attraverso quanto di più naturale e spontaneo esisterà mai, l’incontro fra la polarità maschile e quella femminile.
La mostra Max Ernst e i suoi amici Surrealisti, allestita grazie a numerosi prestiti provenienti da importanti collezioni americane ed europee, presenta – in primo luogo – un nutrito nucleo di opere di Ernst, figura centrale del movimento. I lavori selezionati, realizzati tra il 1912 e la fine degli anni sessanta, testimoniano la moltitudine di tecniche impiegate dal prolifico artista, dal collage all’olio su cartone. Quella del frottage, ideata dal medesimo, si rivela una procedura piuttosto interessante: svariate forme accidentali, evocanti immagini fantastiche, vengono generate passando una matita morbida su un foglio apposto su superfici irregolari, nervate o ruvide (come legno o pietra). Tra i dipinti altamente suggestivi e di forte impatto, dalle energie avvolgenti ed oniriche, da ricordare un discreto numero di tele prodotte da altrettante pittrici donne: Jeux d’enfants di Dorothea Tanning, The Chair di Leonora Carrington, In Spite of Everything – Spring di Jacqueline Lamba e Les Fastes de la soie di Toyen. Da non perdere gli inimitabili capolavori di René Magritte: osservando L’aube à Cayenne (1926), La Parade (1940), La Voie royale (1944) e La Voix du sang (1948), si ritrovano elementi simbolici di grande intensità e fascino, richiami archetipici riecheggianti da una dimensione senza tempo. Tra le opere scultoree, da citare Vénus restaurée di Man Ray ed alcuni pezzi raramente esposti di Alberto Giacometti (La Femme cuillère e Tete qui regarde). Sono presenti, inoltre, due dipinti metafisici di Giorgio de Chirico, considerato il precursore del Surrealismo, ed alcune coinvolgenti tele di Salvador Dalì – benché l’artista, discostandosi presto dal movimento, si riveli per esso – in realtà – una presenza del tutto marginale. Una menzione particolare è dovuta alla vasta selezione di Cadavres Exquis, fino ad ora esibiti di rado, che ad alcuni, forse, ricorderanno certi passatempi dell’infanzia. Nello
specifico, si tratta di lavori realizzati da più artisti i quali, a turno, senza vedere il risultato ottenuto da chi li precede, disegnano su una parte di foglio piegato, generando un’opera a più mani ispirata al concetto della libera associazione di immagini. Gioco, sogno, libertà, rinnovamento: sono questi i cardini dell’ideologia surrealista, di un credo che per alcuni non morirà mai e che nutrirà se stesso con sempre nuove rivoluzioni. Del resto, se per Arturo Schwarz il surrealista è in grado di “ascolta[re] il suono della luce che cambia”, significa che i nostri beneamati ‘pionieri del profondo’ possiedono anime destinate a giungere lontano.
Max Ernst e i suoi amici Surrealisti
Dal 24 luglio al 3 novembre 2002
Museo del Corso – Via del Corso, 320 Roma
Orari: dal 1° settembre, dalle 10.00 alle 20.00; lunedì chiuso.
Ingresso: intero € 7,50; ridotto € 5,00.
Per informazioni: tel. 06 6786209
Catalogo: Edizioni Mazzotta; € 28,00 in mostra.
di Sonia Gallesio