Esploratori dell’abisso
Novembre 17, 2011 in Libri da Stefano Mola
Titolo: | Esploratori dell’abisso |
Autore: | Enrique Vila-Matas |
Casa editrice: | Feltrinelli |
Prezzo: | € 18,00 |
Pagine: | 272 |
Voglio continuare a essere, come ha detto Kafka, un esploratore
che avanza verso il vuoto, e continuare così a dare un senso alle mie parole.
Enrique Vila-Matas, recentemente insignito del Premio Grinzane Bottari-Lattes torna alla forma racconto (quella che avevamo assai apprezzato per esempio in Suicidi esemplari). Diciannove storie dichiaratamente e programmaticamente dedicate a persone normali (se si può ancora mantenere fede a questa definizione così usurata e in fondo insignificante), secondo un filo conduttore: il vuoto, l’abisso. Personaggi che si sporgono verso qualcosa di inspiegabile, vasto e opprimente, cercando non tanto di venirne a capo, quanto di conviverci, di confrontarsi:
Più che precipitare, i miei esploratori si fermano su certe soglie e, prima di cadere, si dedicano a scandagliare l’abisso, a studiarlo. In fondo all’animo hanno un senso gaudente dell’esistenza.
La citazione precedente è particolarmente significativa, se teniamo conto che varcare quella soglia spesso significa entrare nella malattia, e dunque potenzialmente arrivare alla morte. Eppure c’è quell’aggettivo: gaudente. Un’altra citazione ci permette di completare il quadro:
L’umorismo è l’eterno inquilino del vuoto. Questo è ciò che ho scoperto e non posso comunicarlo a nessuno. Dunque non è vero che la speranza sarebbe, come ha detto qualcuno, la resistenza dell’individuo di fronte alle previsioni della propria mente. No. È l’umorismo la vera resistenza di fondo.
Nell’accostamento di queste due frasi sta la cifra di Vila-Matas, uno dei legami di continuità rispetto alla sua opera precedente. I suoi personaggi si confrontano continuamente con l’assurdo, contemplano situazioni paradossali che nella quasi totalità dei casi sono i primi a creare, eppure non c’è una cappa di pesantezza che li (ci) soffoca. Lo scarto dell’ironia è sempre (salvificamente) presente.
C’è inoltre una luce più distesa, qualche grammo aggiuntivo di divertimento. Come Vila-Matas ha dichiarato a Mariella Delfanti (Corriere del Ticino, Martedì 4 ottobre 2011):
Per me è stato come un risuscitare, uno scrivere in modo completamente nuovo. Quando sono uscito dall’ospedale dove ho rischiato di perdere la vita, mi sono sentito l’erede dello scrittore che ero stato fino a quel momento, dunque ho iniziato una nuova tappa nel mio modo di scrivere, che consiste nel gestire questa eredità che lo scrittore che ero prima mi ha affidato.
Ancora una volta dunque (e forse più in misura più scoperta di altre) Vila-Matas intride le sue parole di auto-finzione (in questo senso la normalità che ci si dovrebbe aspettare è altamente ironica). Esemplare (e a mio giudizio, il migliore racconto del libro) il racconto in cui l’artista Sophie Calle chiede (chiederebbe?) a Vila-Matas un racconto che lei poi dovrebbe vivere.
di Stefano Mola