Fìdeg
Agosto 24, 2007 in Libri da Stefano Mola
Titolo: | Fìdeg |
Autore: | Paolo Colagrande |
Casa editrice: | Alet Edizioni |
Prezzo: | € 12,00 |
Pagine: | 205 |
Si possono utilizzare dei criteri non verbali per giudicare i libri? Si possono usare dei criteri sonori? Mi spiego con un esempio. Nel mio caso, ci sono I Libri Che Quando Li Leggi Ti Metti A Ridere Da Solo. Fìdeg, con cui Paolo Colagrande ha vinto il Premio Campiello Autore Esordiente, rientra in questa categoria. La voce dell’autore appartiene a quel modo tutto padano di raccontare che trova un suo paladino in Paolo Nori, tanto per fare un nome che compare tra l’altro sulla quarta di copertina. Queste pagine sono sotto il segno del grande dio della divagazione, di quello del bozzetto e del personaggio stravagante. Cose e persone si muovono in un mondo stralunato, dove l’ironia è prima di tutto auto-ironia (cosa che sommamente apprezzo, come regola di vita, ma questa è un’altra storia che non c’entra qui).
La voce, e l’universo buffo, e l’ironia fanno solo il primo strato del libro. Altra categoria critica importante è infatti proprio quella degli strati. Ci sono libri che sono soltanto superficie. Altri, che invece sono come le visiere dei piloti di formula uno, che li vedi durante la corsa che tirano via uno strato trasparente dopo l’altro. Ognuno di questi strati dobbiamo vederlo come un diverso possibile modo di leggere il libro. Un esempio per me sovrano è Il profumo di Sükind. Il primo strato è: una storia stravagante di un uomo bizzarro. Il secondo: una metafora dell’autismo. Li puoi tenere tutti e due questi strati, oppure scegliere quello che ti piace di più, a seconda del momento in cui lo leggi.
Quali sono allora gli strati di Fìdeg? Il primo strato è quello di un libro assente. Il protagonista ha scritto un libro sugli eroi dal risorgimento ai giorni nostri, ma questo libro è andato perso. Addetti di un autolavaggio troppo radicali e coscienziosi hanno buttato via il manoscritto, lasciato nel baule di una puntovan. Ed era per l’appunto quasi un manoscritto, essendo stato battuto a macchina. Dunque non ce n’erano altre copie salvate. Potrebbe allora essere la storia di un libro assente. O anche e per metafora, poiché questo libro assente avrebbe raccontato di eroi, il racconto dell’assenza degli eroi, o della loro impossibilità quasi teorica ai giorni nostri, sia dal punto di vista letterario che sociale, volendo far entrare in campo delle parole grosse. Non a caso vengono ogni tanto citati Mersault, Joseph K e altri problematici personaggi (ma sempre con la mano assolutamente leggera dell’ironia, non dimentichiamo il primo strato).
Rimane sul palco solo l’autore, che racconta di sé stesso e dei suoi amici, il severo censore Nello Benazzi su tutti, che lo cazzia continuamente. E in questo divagar di sé, apparentemente leggero, ci sono mille pretesti per farsi gioco della letteratura, o meglio di quella cosa che diventa la letteratura quando viene presa troppo seriamente e dei suoi attuali sacerdoti, scuole di scrittura comprese. Quelli che la letteratura la usano per gonfiare il petto, sostanzialmente. Lo strato più profondo si interroga dunque su che cosa è scrivere, raccontare storie, quali le possibilità e soprattutto quali e quante sono le incrostazioni, oggi. E in fondo, come per la vita, Fìdeg ci ricorda che la letteratura è una cosa troppo seria per prenderla davvero troppo seriamente. La cosa bella di Fìdeg è che questo secondo strato, apparentemente pesante, è sparso per briciole leggerissime, che se vuoi le raccogli, altrimenti ti lasci semplicemente andare e ridi da solo ad alta voce. Glossario piacentino finale compreso.
di Stefano Mola