Fossati per Traspi.net
Maggio 29, 2001 in Musica da Gino Steiner Strippoli
Un pianoforte in primo piano, uno Steinway a coda, a musicare suoni “amici” del Jazz e sonorità pronte a vestirsi in abiti da film di qualità. Se poi al pianoforte ci si aggiunge la complicità di fiati e archi, poi magari un vibrafono e un violoncello, sotto l’equilibrio di una buona batteria e percussioni, allora il gioco musicale diventa invidiabilmente interessante. “Not One Word” (Sony Classical) è il capolavoro di un musicista essenzialmente “libero” da ogni travaglio discografico e soprattutto libero di creare e spaziare musicando la sua libertà. Un album che rientra nel nuovo progetto di Ivano Fossati chiamato “Double Life”, un vero laboratorio per sperimentare, provare e accogliere altri musicisti.
Quattordici brani, solo strumentali, che paiono raccontare drammi, amori, gioie, tristezze in un viaggio verso mille pensieri del proprio io, attraverso l’eleganza cristallina del musicista genovese. Composizioni dove diventano importanti gli spazi, i silenzi, in brani come “Milos” e “Roobenia”, ma anche le progressioni e un certo virtuosismo al pianoforte contenuti in “Brazzhelia”, e che dire degli spazi di tango, ispirati a Piazzolla, come “Tango Disorientato” o la reinvenzione di un classico come “Besame Mucho”?
Non la scopriamo adesso tanta creatività nel Fossati musicista e compositore, però con quest’album si è un superato, ma soprattutto è riuscito a portare una certa musica strumentale, ricca di fascino quanto misteriosa, verso un pubblico più vasto. Questo è senza dubbio un merito che va all’uomo Fossati capace di trasmettere e dare il suo genio al servizio di tutti attraverso composizioni davvero emozionanti, vere colonne sonore che potrebbero collocarsi all’interno di molte nostre vite quotidiane.
Perché un titolo in Inglese “Not One Word”?
Ci sono due motivi validi legati a questa scelta e riguardano la diffusione internazionale dell’album. E poi, poiché quando esiste solo il suono senza parole non esistono più confini linguistici, la comunicabilità aumenta e quindi ci si può legare a qualsiasi parola.
Un progetto chiamato “Double Life”.
Sì, è un progetto aperto nella forma e nel tempo. Può essere inteso come un gruppo musicale di entità variabile e come una forte volontà di affrontare un lavoro sulla composizione che sia alternativo alla canzone.
Ma come nasce la passione per la musica strumentale?
Arriva da molto lontano, quando avevo 18 anni il mio sogno musicale non era certo quello di cantare, avevo studiato abbastanza da poter improvvisare sulla tastiera di un pianoforte, soffiavo dentro il flauto e aggredivo la chitarra, tutti strumenti che “cantano” meravigliosamente al posto della voce umana. Mi piaceva (e mi piace tutt’oggi) la musica strumentale, le colonne sonore di film di cui collezionavo i dischi.
Però poi sei diventato “cantautore”…
Sì, in effetti dal 1971 ad oggi ho scritto canzoni e le ho per giunta interpretate, cantandole. E’ curioso che io stesso osservi però come fra le mie canzoni e i miei album serpeggi la scrittura strumentale fin dall’inizio, come non abbia potuto fare a meno di contrabbandare temi strumentali in quasi tutti i miei dischi. Poi devo dire che mi rende anche felice il poter comporre senza dover fare i conti con un’estensione vocale di una nona, spaziando liberamente sul pentagramma a mio piacimento, con forse maggior melodia rispetto alle mie canzoni.
Il progetto Doble Life ti fa vestire i panni di pianista e compositore.
No assolutamente! Double Life non fa di me un pianista, ma un utilizzatore assai poco ortodosso del pianoforte. Ho i miei limiti tecnici e lo riconosco, come non fa di me un compositore nel senso classico ed “alto” del suo termine. Quando però ho terminato le registrazioni di questo lavoro mi sono sentito un musicista più libero e più felice rispetto al recente passato.
Da dove nasce “Not One Word”?
Certamente dalle mie passioni, con il contributo e l’interferenza degli amori musicali e della preparazione e passioni di altri musicisti, come quella del direttore d’orchestra, Paolo Silvestri, che ha guardato per brevi attimi a Gil Evans per poi storcersi verso il genio di Astor Piazzolla. Le mie passioni invece sono le mie stesse capacità, quello che ho imparato dai “miei” pianisti, primo fra tutti Ahmad Samal e poi dai grandi compositori, come Morricone e Legrand.
Chi ha condiviso questo lavoro con te: i tuoi musicisti, la Ivano Fossati DoubleLife…?
Prima avevo citato Paolo Silvestri, poi c’è mio figlio Claudio alla batteria e percussioni e Martina Marchiori al violoncello. Loro sono altamente irriverenti nei confronti degli strumenti che suonano e quindi della letteratura strumentale e compositiva che li accompagna. Trovo che abbiano delle salde gabbie da cui liberarsi e s’impegnano ferocemente a farlo. Il quartetto, con il sottoscritto compreso, è questo, però voglio ringraziare Gabriele Mirabassi, grande strumentista e clarinettista virtuoso: suonare con lui è stato un desiderio realizzato, pensa che è riuscito a disorientare un tango che già tango non era!
di Gino Steiner Strippoli