Frère Roger, ucciso dal troppo amore
Settembre 25, 2005 in Medley da Redazione
Una sera come altre. Lontano da Torino. Poi il telefono squilla: mia sorella. Normalmente telefonerebbe per sentirmi, per avere notizie. Questa volta è per darle. Frère Roger è morto. L’ha saputo da Teri, che l’ha saputo da un amico di Alberto. Questo amico si trovava a Taizé, ospite della comunità fondata da Roger Schultz. Poi è Teri stesso che telefona. Provo a sentire la mia amica polacca, che forse è ancora là in Borgogna.
In un attimo le centinaia di migliaia di amici della comunità ecumenica sono al corrente della notizia. Il nonnino del loro luogo di vacanze e di ristoro si è spento. Il sito internet è praticamente inaccessibile, troppa gente cerca di collegarsi. Il giovane rasta dei rave party che abita a Praga, come l’alternativo animatore parrocchiale della periferia di Barcellona, o la ragazza perbene greca, tutti ricevono e rispediscono la notizia, facendola rimbalzare in ogni angolo del mondo ed in particolare d’Europa. Mentre ancora niente si trova sui siti di giornali ed agenzie stampa. Bisogna dire che la notizia cade male: tra l’ultimatum d’Israele per il ritiro dalla banda di Gaza, l’incidente aereo in Venezuela e leGMG a Colonia, le notizie si oscurano l’una con l’altra.
Così un’informazione partita da Taizé, transitata da Bardonecchia, rimbalzata a Torino e atterrata a Lille, riparte sottoforma di e-mail agli amici torinesi. Intanto arriva un sms da Enrico (chissà se è rientrato da Djerba?) che mi chiede se sono al corrente… solo che intanto la notizia è cambiata.
Le agenzie stampa iniziano a scrivere poche laconiche righe. E nonostante ciò il colpo è duro. Il novantenne Frère Roger è sì morto, ma non a causa della sua vecchiaia: è stato accoltellato.
“Accoltellato? Ma stai scherzando?” è il successivo sms di Enrico, che mi arriva da non si sa bene quale luogo geografico dopo che gli do la notizia.
E’ effettivamente incredibile. Roger Schutz ha fondato la comunità aiutando ebrei e perseguitati a fuggire dal regime filonazista di Vichy durante la Seconda Guerra Mondiale. Ed è riuscito a sfuggire lui stesso alla Gestapo. Poi, per sessant’anni, ha coltivato un sogno di pace sulla terra, guidando la comunità ecumenica che ogni anno vedeva passare migliaia di giovani (e meno giovani) guidati a Taizè da un solo imperativo: l’incontro, dell’altro come di Gesù. Poi, ormai anziano e affaticato, quando nessuno si sarebbe stupito di sapere che era morto, è stato accoltellato. Una delle pecore disperse che lui ed i suoi confratelli avevano accolto sulla «collina» (così è affettuosamente chiamato il piccolo accampamento che sorge sull’altura di Taizé) è stata la causa della dipartita da questo mondo.
Alle 8 di sera, che sia inverno o che sia estate, che faccia bello o che piova, le campane si mettono a suonare sulla collina: è il momento della preghiera. Una preghiera diversa, che va al di là delle lingue, al di là delle confessioni cristiane. Tutti quanti si riuniscono nell’immensa e inusuale Chiesa della Riconciliazione. Le duemila ed oltre persone presenti martedì sera erano tutte là. I fratelli seduti sui tipici seggiolini in legno chiaro. Frère Roger al suo solito posto, in fondo, completamente immerso nella moltitudine dei suoi ospiti. Come a volte succede, qualcuno si è alzato; ma non per blaterare ad alta voce, nel silenzio del raccoglimento. Si è avvicinato alla gracile figura in bianco di Roger, ma non per abbracciarlo. Tre colpi di coltello, per stroncare novant’anni d’amore. Una “squilibrata”, scrivono i giornali, una poverella, una ragazza rumena come tante altre che hanno varcato la soglia della Chiesa della comunità, che hanno campeggiato sull’altro lato della strada, che ho incrociato io stesso tra la coda della distribuzione dei pasti e le cabine telefoniche.
I soccorsi, sembra, sono stati immediati. Ma cosa volete farci, con un fisico come quello di Frère Roger. La penultima volta che l’avevo visto era stato ai funerali di Giovanni Paolo II: spinto sulla sua sedia a rotelle, solitario e dignitoso nell’immensità di Piazza San Pietro, quando per primo andava alla comunione. Poi l’ho intravisto il 31 luglio, durante la messa a Taizè. Una roccia, al suo solito posto, probabilmente con qualche bambino accucciato vicino a lui, che guardava quell’omino sereno dai capelli adamantini.
Non l’avevo mai incontrato di persona, ero solo uno dei centinaia di migliaia di visitatori. Ma, com’è classico delle persone che preferiscono l’espressione «ciascuno di loro» a quella di «tutti loro», mi aveva fatto un bel regalo. Esattamente un mese prima, il 16 luglio, con amici e parenti, eravamo riuniti da qualche parte, nella campagna del Monferrato. Era il giorno del mio matrimonio, con la persona che quasi otto anni prima avevo incontrato proprio sulla «collina». Con la complicità di alcuni amici, la comunità di Taizé aveva voluto partecipare a questo magico momento, e Frère Roger aveva mandato una preghiera dedicata a noi due.
Ora quelle righe sono qui, in casa nostra, appese ad un muro. La persona che le ha scritte non c’è più, ma quello che ha fatto è immenso. I suoi fratelli di vita monastica continueranno a coltivare questo giardino di pace e, si spera, d’accoglienza. Intanto lui… mi piace pensare che sia altrove, intento a picchettare delle grandi tende, con il suo solito sorriso, in attesa di rincontrarci.
Frère Roger: gli ultimi istanti
Frère Roger è deceduto il 16 agosto 2005 in seguito a dei colpi di coltello.
di Diego DID Cirio