George Segal a Roma
Agosto 17, 2002 in Medley da Sonia Gallesio
Chi ama il lavoro di Duane Hanson non può assolutamente perdere, sarebbe un vero e proprio delitto, l’attesissima esposizione romana dedicata a George Segal. Il celebre artista statunitense, infatti, grazie alla prodigiosa produzione che lo contraddistingue, influenza ed incentiva marcatamente l’operato hansoniano. La retrospettiva ospitata al Museo d’Arte Contemporanea, organizzata in collaborazione con The George and Helen Segal Foundation, è costituita da circa quaranta pezzi – una nutrita selezione composta da una decina di sculture in gesso o bronzo, oli ed acquerelli, alcuni rilievi e frammenti. L’allestimento è opportunamente integrato da una sezione fotografica dedicata allo studio posseduto dal maestro a South Brunswick, nel New Jersey (gli scatti inediti, in bianco e nero, sono di Dino Pedriali). George Segal, nato nel 1924 a New York da genitori ebrei, profondo conoscitore della storia dell’arte, si dedica inizialmente alla pittura per poi lasciarsi sedurre, negli anni cinquanta, dalla nascente Pop Art. Agli albori dei sessanta realizza i primi calchi umani, eseguiti con l’impiego di fasciature. Nonostante le sue figure siano generate mediante impronte di persone in carne ed ossa, al contrario delle opere di Hanson i cui dettagli vengono definiti con gran cura, le stesse non riproducono fedelmente i modelli originari: i tratti dei soggetti di Segal – infatti – si rivelano grossolani, così come le fisionomie risultano approssimative. Ciò che conta, dunque, non è la verosimiglianza dei corpi quanto il significato scenico e scenografico dell’insieme; per usare una calzante definizione di Keith Hartley, potremmo considerare tali mirabili prodotti degli “happenings cristallizzati”.
Ciò che maggiormente traspare dalle sculture dell’artista è il voler mostrare realtà tanto significative quanto quotidiane e marginali. E così, un uomo in attesa del verde al semaforo diventa una figura incisiva – rilevante proprio per via della sua pesante immobilità – ed un altro, seduto ad un tavolo di un bar, prepotente nella sua fissità, si trasforma in sofferta icona di solitudine ed estraniazione. Le sculture di Segal ritraggono individui comuni in piedi alla fermata dell’autobus o seduti su una panchina – magari intenti ad ascoltare la radio o a leggere il giornale. Esseri anonimi, e forse per questo inquietanti (perché anonimato e solitudine sono due spettri che tolgono il sonno…), interpretano il profondo vuoto che può caratterizzare l’esistenza, dimostrano come il risucchiante nulla possa strisciare tra la folla, in mezzo al traffico, in un locale gremito – gelando, pietrificando o mummificando i corpi. Bianchi fantasmi, sconosciuti incappottati, figure malinconiche – ritratti sofferti di un popolo urbano che incuriosisce, strega, commuove e allibisce – provano come lo stare in gruppo non significhi necessariamente non essere soli, anzi. I soggetti di George Segal, come anche i contributi di un altro insigne artista americano, Edward Hopper, testimoniano la provvisorietà di un benessere e di un materialismo null’altro che fittizio, rimandando ad un temibile meccanismo globalizzante dal quale, noi tutti, dovremmo imparare a difenderci.
George Segal – The Artist’s Studio
Museo d’Arte Contemporanea
Via Reggio Emilia, 54 Roma
Dal 13 giugno al 1° settembre 2002
Orari: da martedì a domenica dalle 09.00 alle 19.00
Ingresso: intero € 5,16; ridotto € 4,13
Per informazioni: tel 06 67107900
di Sonia Gallesio