I cattivi elementi
Luglio 12, 2001 in Libri da Gustare da Stefano Mola
Carlo Grande, “I cattivi elementi”, Fernandel (tel. 0544.401.290), pp. 155, Lire 20.000
Cattivi elementi… gli elementi atmosferici? (cattivi nel senso di provocare disastri); gli elementi delle cose che mangiamo? (cattivi nel senso di nocivi); gli elementi persone? (cattivi nel senso della violenza e dell’indifferenza verso altre persone e l’ambiente e i cibi)
(il cerchio così si chiude: gli elementi atmosferici e i cibi da soli non sono cattivi, forse un po’ dimenticati, rimossi, trascurati e anche aiutati a essere cattivi… effetto serra, mucca pazza).
Quali sono i cattivi elementi di Carlo Grande? In questi quattro quadri del male di vivere quotidiano li troviamo tutti. Un male di vivere personale e ambientale: l’assenza di prospettive per i giovani dei paesi di montagna tra i sogni ristretti del sabato sera e speranze frustrate di lavoro nella e per la montagna, e poi la fuga: diventare attivisti di Greenpeace; l’inferno quotidiano di un quartiere di periferia soffocato dalle puzze di una fabbrica vicina, così quotidiano da diventare quasi trasparente alla ribellione, se non a quella inconscia di un ragazzino; la frustrazione delle ambizioni di un aspirante giornalista, insegnante in una scuola privata per sbarcare il lunario, a confronto con la violenza che trasuda dal traffico, dalla lotta per il parcheggio: una violenza solo apparentemente piccola e latente, pronta a scatenarsi in un’assurda esplosione finale; una donna anziana resiste in montagna senza corrente elettrica rifiutandosi di pagare le bollette, dopo la catastrofe del Vajont.
E così il cerchio si chiude di nuovo: dalla montagna siamo partiti (Marta, protagonista del primo racconto lascia Villaretto per Greenpeace) e alla montagna si ritorna (Enrico, protagonista dell’ultimo, sale a passare l’estate in montagna). Da una fuga verso l’azione ecologista che è anche reazione ad una delusione amorosa, ad un’adesione alla natura più spontanea e interiore, forse più compiuta. Ma non è questo l’unico elemento che conferisce ai quattro racconti unitarietà. Al di là dello sfondo tematico comune (il difficile rapporto delle persone con le persone, e delle persone con l’ambiente) c’è un filo conduttore narrativo: personaggi secondari o anche solo fugacemente accennati di un racconto diventano protagonisti in un altro. Questo permette al libro di avere un respiro più ampio, grazie allo spostamento del punto di vista narrativo: ogni cambiamento rimette in gioco quanto narrato in precedenza (spostando la luce, cambiano le ombre). A livello del singolo racconto, invece, Grande moltiplica il punto di vista, adottando spesso uno stile corale, ricco di riferimenti al parlato, con accenti talvolta lievemente espressionistici, talvolta satirici, talvolta sofferti.
Mi sembra una scelta funzionale, data la difficoltà di confrontarsi con una materia così densa, ricca di riferimenti a quanto abbiamo sotto gli occhi tutti giorni. Il tentativo di procedere alla denuncia urlata potrebbe essere sempre dietro l’angolo (ed è questo anche un libro di denuncia), ma questa modulazione del punto di vista permette di stemperare e arricchire, modulando l’adesione e gli effetti della scelta (o non scelta) ambientalista (in senso lato) dei personaggi. Non ci sono eroismi western: i personaggi sono calati nelle difficoltà della vita quotidiana, comprese quelle sentimentali e lavorative.
(una proposta tra parentesi perché non sembri troppo pomposa: un tentativo di narrare il presente che risponde alla necessità ecologica di uno sguardo sistemico sul mondo? Le conseguenze di ogni intervento sull’ambiente non sono mai scontate e facili da prevedere. Anche gli atti apparentemente più innocenti possono avere conseguenze importanti e inaspettate, che si può tentare di comprendere solo procedendo senza faciloneria verso un’analisi del sistema nel suo complesso, rinunciando al punto di vista più facile e scontato)
Per approfondire i contenuti di questo libro, potete leggere la recensione di Igor Man (per gentile concessione dell’autore e
dell’editrice La Stampa).
di Stefano Mola