I primi passi del nuovo presidente degli Stati Uniti
Febbraio 12, 2001 in Viaggi e Turismo da Redazione
E’ arrivato. Con un mese di ritardo sul previsto ma e’ arrivato. Il nuovo Presidente degli Stati Uniti ha finalmente un nome e un cognome: George W. Bush. Ma cosa lo aspetta a gennaio, quando prendera’ il controllo della Casa Bianca?
Un paese da convincere circa le proprie capacita’ di leader, una recessione economica ormai in atto e una politica estera da rivedere.
Il primo punto e’ sicuramente il piu’ difficile. Gia’ prima delle elezioni era opinione diffusa negli Stati Uniti il fatto che Bush fosse sostanzialmente uno sciocco figlio di papa’, con trascorsi affaristici fallimentari, una vecchia passione per alcool e cocaina e qualita’ politiche piu’ che mediocri.
Poi sono arrivate le elezioni presidenziali e Bush e’ riuscito ad entrare nel ristretto gruppo (altri tre prima di lui) dei presidenti eletti senza il supporto della maggioranza dei votanti. A cio’ si e’ aggiunta una battaglia legale durata un mese, conclusasi con un verdetto della Corte Suprema Federale che ha lasciato comunque molti dubbi su chi abbia vinto effettivamente le elezioni nello stato della Florida.
In questo caso pero’ Bush puo’ vantarsi di aver raggiunto un predecessore illustrissimo. Alla vittoria di strettissima misura di John Kennedy su Richard Nixon seguirono per settimane ricorsi legali da parte dei Repubblicani.
La posizione di partenza di Bush, quindi, e’ estremamente debole, perche’ la stima che gli americani hanno di lui e’ molto bassa, ma questo non vuol dire che la sua Presidenza e’ destinata al fallimento, come appunto dimostra il caso di Kennedy. E’ pero’ vero che la debolezza di Bush non gli consentira’ alcun passo falso. Ogni errore diventerebbe enorme agli occhi di un’opinione pubblica per ora prevenuta, e, dato che sin da oggi l’obbiettivo e’ la rielezione nel 2004, l’opinione pubblica e’ tutto.
Indicativo il precedente di Gerald Ford, l’unica persona diventata capo dello Studio Ovale senza essere prima stato eletto Presidente o Vice-Presidente. Ford eredito’ la carica dal dimissionario Nixon e riusci’ da subito a conquistarsi la simpatia della nazione, con un discorso in cui assicurava che “il lungo incubo nazionale del Watergate e’ finito”. Ford pero’ si gioco’ presto il credito guadagnato con la decisione di concedere il perdono a Nixon, dimostrando che partendo da zero non ci si puo’ permettere scelte impopolari. Non vi e’ margine d’errore.
Queste sono le premesse. Ma che paese si trovera’ a dover guidare Bush?
Un paese con un piede gia’ in recessione economica, la prima dopo otto anni di galoppo senza sosta. La crescita economica e’ precipitata dal 5,6% del secondo trimestre al 2,7% del terzo e nel trimestre in corso la situazione si e’ ulteriormente aggravata. Persino il colosso Microsoft, per la prima volta in dieci anni, ha annunciato dati di bilancio inferiori alle attese.
Strano a dirsi, ma questo rallentamento dell’economia a stelle e strisce sembra essere l’alleato migliore di Bush. Se la recessione scoppiera’ completamente in tempi molto brevi, come sembra, Bush avra’ buon gioco ad addossarne le responsabilita’ sull’amministrazione Clinton. Inoltre, gli esperti prevedono che l’economia soffrira’ per un paio d’anni, sino al 2002 – 2003, per poi riprendere a correre. In tempo cioe’ per lanciare la corsa di Bush alla rielezione.
Inoltre, un’economia debole e’ la cornice ideale per il mega-progetto di riduzione delle tasse di Bush. L’ormai ex-governatore del Texas ha incentrato la sua campagna elettorale sull’utilizzo del surplus del bilancio federale (1,3 milioni di milardi di dollari) principalmente per la riduzione delle tasse alle famiglie abbienti. Una mossa del genere, dal punto di vista economico, non ha ragioni di essere in tempi di economia che vola. E’ invece un sistema per aiutare la ripresa quando le cose vanno male, ovvero la situazione che l’America vive ora.
Quando Bush lancio’ il progetto, il governatore della Federal Reserve Bank Alan Greespan era impegnato ad alzare i tassi d’interesse (operazione effettuata sei volte dal giugno ’99 al maggio ’00) per raffreddare l’economia, mentre ora Greenspan si prepara ad abbassarli: la restituzione di soldi alle famiglie riscuoterebbe l’approvazione generale sia della classe politica che dell’opinione pubblica.
Ultimo punto, la politica estera. A meno che Clinton, Barak e Arafat non facciano miracoli in extremis, Bush si trovera’ un Medio Oriente in fiamme da pacificare. Compito decisamente improbo, ma fondamentale vista la pressione che la comunita’ ebraica esercita negli Stati Uniti.
Bush inoltre dovra’ riconsiderare le operazioni in Colombia, dove l’esercito a stelle e strisce istruisce militari colombiani per la lotta al narcotraffico. Il tutto a molti americani sembra una copertura per operazioni contro la guerriglia comunista colombiana, e ciò ricorda sinistramente l’intervento in Vietnam.
A molti osservatori internazionali era anche parso che Bush volesse disimpegnarsi dalle operazioni in Bosnia e Kosovo, spostandosi su posizioni “isolazioniste”. La questione e’ da verificare. Bush intanto ha nominato come Segretario di Stato (il nostro Ministro degli Esteri) Colin Powell, il generale nero che diresse le operazioni militari durante la Guerra del Golfo. E Powell ha indirizzato rassicurazioni agli alleati europei, dicendo che l’intervento nella ex-Jugoslavia va rivisto, ma che non vi e’ alcuna posizione isolazionista all’orizzonte.
Proprio la nomina di Powell ha segnato un passo positivo per Bush. Powell incarna la tipica figura del self made man. Figlio di immigrati giamaicani, cresciuto nel Bronx di New York, Powell e’ riuscito prima a scalare tutta la gerarchia militare, poi a diventare l’eroe della Guerra del Golfo, infine a diventare una persona talmente popolare da attirare l’interesse di entrambi i partiti politici. Clinton ha tentato invano di arruolarlo nella propria amministrazione e il partito Repubblicano ha sperato a lungo che Powell accettasse la candidatura alle elezioni presidenziali del 1996, sapendo bene che godeva
di una popolarita’ di gran lunga maggiore a quella di Robert Dole, poi surclassato da Clinton.
Ora Bush e’ riuscito a portarlo dalla sua parte, compiendo tra l’altro una mossa ideale per guadagnare consenso fra la comunita’ nera, in massa a favore di Gore alle ultime elezioni. Bush d’altra parte contava su ottimi alleati: durante la Guera del Golfo il Presidente degli Stati Uniti era suo padre George Senior e il segretario di Stato era Dick Cheney, ora il suo Vice-Presidente. Corsi e ricorsi storici.
di Giuliano Perseu