Il Carrello della Spesa
Novembre 4, 2010 in Racconti da Meno Pelnaso
Sono uscito di corsa dall’ufficio e trafelato entro nel primo supermarket che trovo sulla strada verso casa poco prima che chiuda.
Bene, sembra fatta … e invece no!
Vedo da lontano l’ultimo carrello nella rastrelliera.
È solo, sporco e sbilenco, ma è l’ultimo!
Un presentimento negativo striscia sinuoso tra i miei neuroni “… perché sembra abbandonato? …”, ma la speranza e la necessità lo cancellano.
Corro e mi lancio sulla preda, perché ho visto da lontano una concorrente ansimante che si avvicina a passi pesanti con lo stesso obbiettivo.
Frugo nelle tasche, ma mi rendo conto che se vi fosse una moneta dovrei cercarla col metal detector tra biglietti, scontrini carte di caramelle e chissà cos’altro (Se non sai cosa sia, lascialo stare finché dorme e … scappa!”…).
L’altra concorrente è dietro di me e accigliata mi osserva nella speranza che non riesca a trovare la moneta indispensabile per liberare l’oggetto del desiderio, un’ombra cattiva le attraversa il viso.
Finalmente trovo una moneta abbandonata in una tasca, orgoglioso la infilo nella fessura del lucchetto guardando di sottecchi la signora che si allontana e tiro.
Il carrello sbatte prima a destra, poi a sinistra e poi si blocca di scatto. Lo afferro con entrambe le mani e tiro più forte. Lui è recalcitrante stride e s’impunta. La signora con un ghigno satanico tira fuori dal baule una borsa di nailon gigantesca e se ne va.
Ho fretta e non ho tempo per usare le maniere gentili e le moine per convincerlo. Con uno sforzo disumano riesco a trascinarlo fuori dal box.
Sentendosi libero lui cerca di sfuggire ruotando su sé stesso e torcendomi il polso, ma mi aspettavo una mossa del genere e lo blocco di lato.
Lo spingo verso le scale mobili e lui torce le ruote di fianco per frenare. Lo strattono e lo spingo nuovamente nella direzione giusta. Lui cigola come se lo volessi strozzare.
Si rende conto che sono determinato quindi dribbla un po’ a destra e un po’ a sinistra. Non sono abbastanza rapido e per un attimo riesce a scartarmi e a tornare indietro.
Non ho voglia di litigare con un carrello già ammaccato dalla vita, ma fra un po’ chiudono e ho il frigo vuoto.
Mi fermo un attimo e, con la scusa di controllare le quattro le ruote, riprendo fiato.
Ogni ruota sembra governata da un’intelligenza propria, in generale in completo disaccordo con le altre tre, ma ora coalizzate contro di me.
Approfitto di un suo attimo di distrazione e riesco ad infilarlo sulle scale mobili. FREGATO!
Si rende conto di essere stato giocato e, furibondo, si ribella orgogliosamente crepita e sibila intraversandosi e cercando di investirmi con tutto il suo peso mentre rotola sferragliando indietro.
Ho le scarpe con la suola di cuoio e scivolo sotto la sua spinta, ma poi soverchiandolo con il mio peso riesco contrastare l’avversario metallico.
Capisce di non avere spazio di manovra e si acquieta temporaneamente in evidente attesa di tendermi un trappola.
Siamo alla fine della salita. Lui s’impunta per un attimo e io lo spingo con uno strattone.
Era quello che aspettava.
S’impenna e con un balzo salta in avanti cercando di fuggire ma, concentrato sul tiro mancino che stava progettando, non ha visto davanti a sé un signore gigantesco con un altrettanto gigantesco carrello.
Il cozzo è inevitabile e il mio carrello ha la peggio, una ruota anteriore si piega leggermente. Ben gli sta!
Faccio le mie scuse al gigantesco signore e cerco di spiegargli la situazione. Egli prima mi guarda in cagnesco, facendomi sudare freddo, poi arcigno, con una rimbombante voce da orco, sentenzia: “Andrebbero eliminati quelli così”.
Mi allontano rapidamente perché non mi è chiaro se si riferiva al carrello o a me.
Ora si lascia guidare un po’ più docilmente all’interno del magazzino, sembra un po’ tremolante e un gemito metallico, simile ad un singhiozzo, esce dalle ruote. La minaccia ha fatto il suo effetto!
Cerca ancora di dribblare ogni tanto, una ruota si torce, ma dopo qualche metro si riposiziona nella direzione giusta, magari voltata al contrario, ma per una tregua può andare bene anche così.
Sembrano più barcollamenti dovuti alla stanchezza che a scatti irosi come prima, in fondo siamo a fine giornata anche per lui.
In conclusione, prima di arrivare alla cassa, abbiamo investito una piramide di pacchi di caffè, tirato le calze ad una signora, che ci ha inseguito fino nel reparto latticini, potato due Kenzie e un Ficus, impigliato e quasi depredato il reparto vestiario ed infine rotto una bottiglia di plastica di sciroppo concentrato di menta che ha impiastricciato le ruote, che a loro volta hanno poi steso una pellicola appiccicaticcia lungo i corridoi ovunque andassimo.
Ho preso tutto quello che dovevo, ad ogni passo m’incollo per terra per via dello sciroppo e ora siamo finalmente alle casse.
È mogio e avvilito sotto il peso dei sacchetti colmi di mercanzia ma, osservandolo con la coda dell’occhio, mi sembra ancora sogghignare perfidamente quando il bancomat, ineluttabilmente, si blocca.
Lo riaccompagno al box dove ci sono tanti altri carrelli lucidi e tranquilli, ben allineati e pronti per la notte.
Mi verrebbe voglia di fargli notare come sono calmi, puliti ed educati i suoi fratelli, ma ho paura che mi prenderebbero per matto. Non si ribella mentre lo aggancio nella fila ed estraggo la moneta.
Finalmente la spesa è finita. Metto i sacchetti in macchina e me ne vado prima che chiudano i cancelli del sotterraneo. Passare la notte qui, dopo la fatica fatta, non rientra tra i miei programmi.
Mentre guido sento le braccia e le mani indolenzite. Mi sento come se avessi fatto a botte con qualcuno, … beh, è quasi vero.
Affettuosamente vostro
Meno Pelnaso
di Meno Pelnaso