Il fascino dell’Egitto
Marzo 28, 2011 in Viaggi e Turismo da Stefania Martini
Organizzata congiuntamente dalla Fondazione per il Museo “Claudio Faina” e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto nelle loro due sedi, una affacciata e l’altra in prossimità della piazza che accoglie il celebre Duomo della città umbra, la mostra riunisce circa 250 reperti – molti davvero di grande importanza – concessi da una quindicina di musei e istituzioni culturali italiane.
Il sottotitolo evidenzia chiaramente il taglio che i curatori hanno voluto imprimere a questa ampia, importante rassegna: “Il ruolo dell’Italia pre e post-unitaria nella riscoperta dell’antico Egitto”, ovvero ciò che gli egittologi partiti dal nostro Paese hanno saputo fare intorno alle sponde del Nilo, lì attratti dallo spirito d’avventura, talvolta dalla sete di facili guadagni, molte altre dall’obiettivo di approfondire le conoscenze sull’antica Terra dei Faraoni.
“Il fascino dell’Egitto” attraversa almeno tremila anni di storia dell’umanità.
Dalla terra d’Egitto vennero tratte idee culturali, culti, divinità, usi e costumi. Poi, quasi a voler catturare il senso di mistero e di eternità di quella magica civiltà, vennero asportate le testimonianze materiali: fossero i grandi obelischi che raggiunsero Roma, o ciò che veniva trafugato dalle tombe.
Un fascino che dall’antichità contagiò il Medio Evo e incantò il Rinascimento quando principi e intellettuali si contendevano reperti considerati molto più che semplici curiosità archeologiche.
Ma è alla fine del Settecento e soprattutto durante l’Ottocento che oasi e sabbie d’Egitto vengono battute palmo a palmo da europei, e tra loro molti gli italiani, alla ricerca di quanto sopravviveva di un’epoca trascurata dalla dominazione turca.
L’egittologia moderna ha una precisa data di nascita, l’anno 1822, quando Jean-François Champollion decifra, grazie alla stele di Rosetta, la scrittura geroglifica.
Con lui, in una spedizione congiunta franco-toscana che percorse l’Egitto (1828-1829), c’era l’italiano Ippolito Rossellini.
In realtà, come la mostra documenta, protagonisti di una “corsa all’Egitto” furono uomini che al fascino dei Faraoni univano spesso quello del commercio antiquario.
Due di loro hanno creato le basi per altrettanti musei. Giovanni Battista Belzoni, padovano, il primo ad entrare nella piramide di Chefren e nel tempio rupestre di Ramesse II ad Abu Simbel, trovò l’ingresso di sontuose tombe nella Valle dei Re e mise insieme, per il suo committente Henry Salt, il nucleo fondante della collezione egizia del British Museum, senza dimenticare la sua città cui legò alcuni importanti reperti.
Il secondo, Bernardino Drovetti, piemontese, console di Francia in Egitto, riunì una collezione non meno vasta che venduta ai Savoia, è oggi il nucleo fondante di un altro museo, l’Egizio di Torino.
Due storie tra tante di un’epoca che vide italiani protagonisti in Egitto.
Il percorso espositivo di storie curiose ne presenta molte.
Come quella di Luigi Vassalli, pittore e intellettuale milanese, che la passione politica e il ruolo di patriota risorgimentale portò in Egitto dove esule divenne un collaboratore di Auguste Mariette e un valente egittologo nell’ambito del Servizio di Antichità egiziano come ispettore agli scavi. A lui si devono numerose iniziative nel campo della nascente egittologia italiana e una breve direzione della collezione egizia del Museo Archeologico di Napoli.
Ma anche Carlo Vidua e Giuseppe Acerbi che dell’egittologia italiana rappresentano personaggi di rilievo.
Ma è sulla figura di Ernesto Schiapparelli che “Il fascino dell’Egitto” si sofferma in modo più ampio. Schiapparelli scoprì la Tomba di Nefertari e la sepoltura di Kha, l’architetto reale, quest’ultima perfettamente conservata, prima di essere direttore del Museo Egizio di Firenze e poi di quello di Torino.
Curioso il labirinto di relazioni e punti di contatto fra le tante storie che si affrontano e ricco il patrimonio archeologico che ne risulta e di cui la mostra da conto.
Vetrina dopo vetrina è l’Egitto più bello ad essere svelato.
L’osservazione di sepolture preistoriche e di manufatti dello stesso periodo, che rivelano l’alta tecnologia caratteristica della cultura egizia già in questa fase, porta il visitatore a comprendere come l’egittologia italiana non abbia trascurato nemmeno la meno nota preistoria egiziana.
Sulle tracce delle Missioni archeologiche italiane, si potranno ammirare elementi di corredo funerario che illustrano varie epoche come reperti che giungono dal Medio Egitto, risalenti al 1900 a.C., e altri che provengono dalla Valle delle Regine e databili al 700 a.C. circa.
I numerosi spunti offerti dai materiali esposti permetteranno inoltre di affrontare in modo esaustivo alcuni aspetti della vita quotidiana nell’antico Egitto, di approfondire temi affascinanti come la conservazione di materiali delicati quali le stoffe, e di analizzare le informazioni che i ricercatori contemporanei possono trarre dalle analisi diagnostiche più all’avanguardia.
E’ una mostra originale, studiata appositamente per Orvieto, coordinata da Giuseppe M. Della Fina, direttore scientifico della Fondazione per il Museo “C.Faina”, e curata dalle egittologhe Elvira D’Amicone della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte e del Museo di Antichità Egizie di Torino e da Massimiliana Pozzi (Società Cooperativa Archeologica).
IL FASCINO DELL’EGITTO. Il ruolo dell’Italia pre e post-unitaria nella riscoperta dell’antico Egitto
Orvieto, Museo “Claudio Faina” (piazza del Duomo, 19) e Palazzo Coelli, sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto (Piazza Febei, 3).
Dal 12 marzo al 2 ottobre 2011.
Orario: 10,00 – 18.
di Stefania Martini