Il fenomeno del “divismo” nel cinema
Novembre 29, 2006 in Cinema da Pierluigi Capra
Nel 1909 nacque negli Stati Uniti la Motion Pictures Patents Company (MPPC), costituita dall’associazione delle più importanti ditte di produzione e case di distribuzione di film esistenti negli Usa. Ciò provocò la reazione dei produttori, distributori ed esercenti indipendenti che, per reazione puntarono su un aumento della qualità e su una produzione non standardizzata di lungometraggi, sull’esempio delle ditte francesi e italiane, per difendere il proprio mercato.
Trasferitisi in massa da New York in un sobborgo di Los Angeles, Hollywood, gli indipendenti, per accrescere la popolarità dei loro film, incoraggiarono lo star-system, cominciando a rendere noti e reclamizzare i nomi degli interpreti che fino a quel momento erano rimasti in secondo piano o del tutto ignorati.
La costa californiana era, per le troupe cinematografiche, un ambiente anche più favorevole e climaticamente propizio. Il fatto poi che fosse molto vicino alla frontiera messicana, consentiva di riparare facilmente all’estero in caso di difficoltà legali, sempre possibili in quegli anni di pionierismo temerario.
La creazione di Hollywood (letteralmente “bosco di agrifoglio”), il cui nome è stato scelto per il suono musicale della parola e non certo per la vegetazione, significò per il cinema americano, scrive Gianni Rondolino, “la conquista di un mercato mondiale e la nascita di un’autentica nuova arte popolare”. Gli americani ricorrono alla parola star, neutra e bisex, per indicare i divi e le dive del cinema, i beniamini del pubblico. Anche per la similitudine che la parola evoca: come le stelle del cielo risplendono nell’oscurità di una notte limpida, così quelle del cinema brillano nell’oscurità delle sale di proiezione dei locali cinematografici. Il cinema, con la sua sterminata possibilità di agire sull’inconscio dello spettatore e stimolarne le identificazioni, offriva tramite la star un modello. Un punto di scarico delle frustrazioni e dei sogni, un riferimento collettivo verso la regolamentazione dei comportamenti e l’accettazione del sistema dei valori espressi dalla società in quel momento.
Perché “inventare” una star?
E’ evidente che la ragione più importante della glorificazione di una star, era quella di aumentarne la popolarità e con essa il potere evocativo che poteva esercitare sugli spettatori. Il divismo nacque con l’attrice danese Asta Nielsen. Fu la spietata concorrenza tra le case cinematografiche a farlo nascere, insieme all’interesse del pubblico nei confronti di determinati attori piuttosto che altri.
Quand’è che l’attore diventa star? Quando la partecipazione di vasti strati di pubblico raggiunge una tale intensità che l’emozione, il turbamento, la suggestione che deriva dalla visione del divo crea il desiderio duraturo di vederlo per sempre e di conoscerlo anche personalmente. La star non ha bisogno di frantumarsi in tanti personaggi per esistere, ma “esiste poiché concentra tanti personaggi in uno solo: se stessa”, afferma Adriano Aprà, “la star brilla di luce propria, l’attore per brillare deve recitare e la luce che egli emana dura finché recita, mentre la star continua a risplendere anche dopo che il film è finito”.
E’ qualcosa di più di un attore, è capace di nobilitare e valorizzare ogni personaggio che interpreta. Ha una specie di fluido magnetico, un naturale incantesimo, un dono fascinatorio, al di là dell’abilità recitativa, che fa presa sul pubblico, un che di magico, di segreto, secondo Nicola Chiaromonte, un “mistero” che consente all’attore di “uscire dall’orbita terrestre”. Il divo può nascere in molti modi: dal fascino e dalla bellezza, a volte saggiamente costruita, dalle doti morali e dalle qualità interiori che si riflettono nei modi e nei comportamenti, dalla genialità e dall’intelligenza, dall’eleganza e dall’immagine. Il divo, come scrive Eugenio Montale, ha la capacità di “sovrapporre la figura mondana alla figura dell’artista e riesce a trasformare in pregi i suoi difetti.
Il divo non appartiene più solo all’arte, ma al mondo dei fenomeni degni di attenzione sociologica”. Per acquisire una patente di nobiltà il mercato cinematografico, agli inizi, puntava a valorizzare le opere di particolare qualità che produceva, servendosi di tutti gli strumenti pubblicitari e promozionali di cui disponeva e, tra questi, lo star system era uno dei più importanti. Cioè quel processo di fabbricazione e sfruttamento commerciale delle star che finiva con l’estendere la propria influenza anche sulla loro sfera privata. Lo star system era una situazione da sogno in cui tutti erano felici: l’attore otteneva fama, successo e compensi esorbitanti, il produttore, usando forme di pubblicità sempre più convincenti, veniva economicamente ripagato e il pubblico rimaneva felicemente intrappolato in quella condizione di estasi in cui esso stesso si era inconsapevolmente rinchiuso. Negli anni del primo divismo si fa gigantesco anche il fenomeno della posta dei divi che arriva a milioni di missive di ogni tipo. Un divo di primo piano poteva anche ricevere migliaia di lettere la settimana, la posta costituiva un indicatore di popolarità facilmente misurabile.
Cambiano le tipologie in cui si classificano i divi (il play-boy come Rodolfo Valentino, il duro come Marlon Brando, la maggiorata come Gina Lollobrigida, il rude come Jean Gabin, il cinico come Robert Mitchum, il forte e buono come Spencer Tracy, l’eterna bambina come Shirley Temple, l’ingenua come Lillian Gish, la gran signora come Bette Davis, i ballerini come Fred Astaire e Ginger Rogers), nascono nuovi generi (la commedia, il musical, il giallo, l’horror, il western), ma il divismo continua, sia pure in forme diverse, a permanere e prosperare. Un divismo tramonta e un altro ne sorge fino ai nostri giorni, con aspetti e caratteristiche diverse, ma con forti analogie col passato. Finché vivranno i sogni, i nostri sogni. Lo stesso ruolo della donna si liberò dallo stato di vittima anche grazie al divismo cinematografico. Emerge infatti un nuovo tipo di donna che lavora, svelta nei modi e pronta di lingua. Poteva essere sfrontata come la Harlow, ironica come la Colbert, svagata come la Monroe, elegante come la Swanson, intelligente come la Hepburn, fiera come la Loren, determinata come la Garbo, grintosa come la Dietrich, erotica come la Bardot, ma sempre sapeva tener testa all’uomo sia sul piano della conversazione che su quello del sesso.
Non tutte le star riuscirono a passare indenni attraversando Hollywood. Per molti il passaggio sarà devastante, specie per giovani artisti, in genere bellissimi e ricchissimi, tutti convinti di vivere un sogno. Si potevano permettere il lusso più smodato e la libertà di costumi che la moralità vietava alle persone comuni. Il vecchio motto “genio e sregolatezza” era più che mai adattabile a molti dei divi di Hollywood. Non mancarono nell’ambiente, nemmeno le morti premature, i suicidi e qualche volta anche gli omicidi Negli anni ’30 avviene infatti quello che Edgar Morin definisce “il passaggio dall’era della diva per il film” a quella del “film prodotto in funzione della diva”. Gli attori, affermatisi come figure centrali della cinematografia, diventano così importanti e determinanti per la riuscita di un film da creare essi stessi proprie case di produzione. I divi del cinema sono i diretti eredi delle primedonne, dei mattatori, dei sovrani della scena tipici del teatro, ma con un potere ancora maggiore.
Anche in Europa e in Italia il divismo nel cinema ebbe profonde implicazioni socio-cult
urali. Gli attori cinematografici cominciarono ad essere conosciuti dalla grande folla, fino ad arrivare a manifestazioni di idolatria collettiva. Uno dei registi più prolifici del cinema muto italiano, Augusto Genina, ebbe a dire: “mi accorsi ben presto che era nato il mito della donna fatale, la crudele creatura dal volto bianco, gli occhi sbarrati e il mento sollevato”. Avvolte da un atmosfera favolosa, le dive acquistano così una carica simbolica diventano seduttrici, ma anche donne angelo, esse fanno infatti rivivere nei loro volti e nei loro gesti i tipi femminili ereditati dalla letteratura, dalle arti figurative, dal mito. Gran parte degli intellettuali e dei sociologi distolgono lo sguardo dal divismo definendolo “una stupidaggine”, ma dietro allo Star system non c’è soltanto l’idiozia dei fan, la mancanza di idee dei cineasti, i trucchi commerciali dei produttori, il subdolo potere occulto del marketing, c’è anche l’emozione del cuore e il trasporto dell’amore. Il pubblico delle nuove generazioni celebra oggi il divo nella figura dell’antidivo ancor più estremo, allucinato, “arrabbiato”, ribelle, egemone e contestatore, e lo cerca non più soltanto nel cinema, ma anche in altri settori della vita. Il divismo è un fenomeno oggi ancor più diffuso e trasversale che in passato: la star non tramonta mai.
“Il Cinema delle Star in cartolina. Dal cinema muto agli anni sessanta”.
Casa Editrice Graphot – Torino. Dicembre 2004
di Pierluigi Capra