Il formaggio con le pere
Aprile 2, 2009 in Libri da Gabriella Grea
Titolo: | Il formaggio con le pere |
Autore: | Massimo Montanari |
Casa editrice: | Laterza |
Prezzo: | € 15,00 |
Pagine: | 162 |
“Al contadino non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere”.
“Che Dio ti stramaledica, Sancho! Che sessantamila diavoli te ne portino via, te e i tuoi proverbi!”
… E Don Chisciotte diede un nuovo affondo nella prelibata pietanza.
Almeno così lo immaginiamo noi e sicuramente Massimo Montanari che lo cita a chiosa della sua ultima golosità editoriale. Storico medievale e docente dell’alimentazione all’università di Bologna, l’autore si è lasciato “catturare dalla difficoltà di decifrare la natura contraddittoria che apre caratterizzare” questo noto proverbio italiano. I proverbi infatti “condensano il sapere non firmato del mondo contadino analfabeta” (P. Camporesi); sono volti alla risoluzione di bisogni e problemi pratici, talvolta richiamano al dovere, all’onestà, alla correttezza morale, senza perdere il riverbero ironico e scherzoso della giusta dose di furbizia ed egoismo, indispensabili nel buon vivere.
“Non mancano Proverbi di natura “sociale”, volti a definire ruoli e doveri di ciascuno, magari per rimarcare la necessità di stare al proprio posto, di non trasgredire gli obblighi del proprio stato” (pg 7). Proprio in questa tipologia si inserisce il proverbio del formaggio e delle pere, pur contenendo un’anomalia: la sua prescrizione impone di celare, di negare l’accesso alla conoscenza proprio al contadino, all’oggetto sociale principale fruitore del precetto (pg 8).
La testimonianza più antica sembra risalire alla Francia del Duecento, la troviamo, guarda caso, in un ‘espressione proverbiale’, si scopre persino che “sulla scorta di questo antico detto contadino” un comune friulano celebre per la produzione di formaggio, ha siglato nell’ottobre 2007 un gemellaggio con un comune emiliano produttore di pere Igp.
La storia di questo semplice proverbio è un pretesto per rivisitare lo scontro di classe dal Medioevo all’età moderna, attraverso un’analisi “sociologica” della tavola imbandita. Si scopre quindi che il formaggio, nei confronti el quale la classe medica ha sempre nutrito una forte perplessità, è la carne dei contadini, in grado di digerire persino le pietre, “perché il faticare fa digerire anche i sassi”. Per lo stomaco dei contadini quindi il formaggio è un alimento adatto, per quello delicato dei gentlemen no. Eppure il povero Calandrino sogna “un paese di Bengodi con al centro una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, in cima alla quale non si fa altro che cuocere maccheroni e ravioli”. Così Boccaccio si fa portavoce di un sogno tipicamente popolare, ricordando un’abitudine propria delle mense di ricchi mercanti e nobili.
Si assisterà al rovesciamento di un pregiudizio secolare con le annotazioni di Pantaleone da Confidenza, professore dell’università di Torino nella Summa Lacticiniorum, del 1459: il formaggio è buono per tutti, nobili e plebei. Esiste il formaggio giusto per la persona giusta.
Accesi dibattiti e interminabili chiacchiere hanno diviso medici, scienziati e liberi pensatori nel corso dei secoli: questo cibo rustico è degno di accedere al desco signorile? Perché fondere un cibo d’élite come la frutta ad un prodotto plebeo come il formaggio?
Ma, soprattutto, siamo così sicuri che il bifolco fosse all’oscuro di cotanta bontà?
Dalle campagne senesi il grano sussurra
Al contadino non far sapere
quanto è buono il formaggio con le pere,
ma il contadino, che non era coglione,
lo sapeva prima del padrone
di Gabriella Grea