Il giusto (?!) processo
Febbraio 17, 2001 in il Traspiratore da Redazione
Recentemente é stato approvato il decreto legge sulle norme d’applicazione dei principi costituzionali del giusto processo ai procedimenti in corso.
Con questa modifica, la legge assicura che nel processo penale la persona indagata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà davanti al giudice di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore.
Per apportare tali variazioni è stato cambiato l’art. 111 della Costituzione e, più in particolare, sono state puntualizzate la ragionevole durata del processo, l’imparzialità del giudice ed il fatto che il processo si svolga nel contraddittorio tra le parti.
Le complicazioni riguardano la questione che la colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore. Tali dichiarazioni sono valutate ai fini della prova solo se la loro attendibilità è confermata da altri elementi, per evitare sia di incorrere in attentato alla sicurezza comune, sia la delegittimazione delle istituzioni, qualora il giusto processo entrasse in vigore senza lo scudo protettivo di norme transitorie, che mettano tutti i processi in corso al riparo dai rischi di paralisi e di scarcerazioni di massa.
Anche se la legge tenta di regolare i casi in cui la formazione della prova non ha luogo nel contraddittorio per consenso dell’imputato o per impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita, varie ipotesi sono state fatte per determinare i confini di applicazione delle nuove norme costituzionali, in particolare quella secondo la quale le accuse non ripetute in aula non possono essere valutate come prova della colpevolezza dell’imputato. Altra ipotesi potrebbe essere quella di tenerle in considerazione solo se già acquisite al fascicolo del dibattimento e solo se la loro attendibilità fosse confermata da altri elementi di prova, assunti o formati con altre modalità. Gli avvocati penalisti minacciano scioperi ad oltranza ed il salvataggio dei processi in corso pare possibile solo nel caso ci sia già stata la richiesta di rinvio a giudizio. E’ auspicabile una veloce ed opportuna soluzione per porre rimedio alla crescente confusione, vista la grande quantità di processi ancora da celebrare.
La riforma del codice di procedura penale del 1988 mirava a snellire la pendenza dei processi con l’introduzione di procedimenti speciali, quali il giudizio abbreviato, il patteggiamento, il giudizio direttissimo, il giudizio immediato e il decreto penale. Questi procedimenti, saltando determinate fasi che costituiscono il procedimento ordinario, quali indagini preliminari, udienza preliminare, dibattimento, eventuale appello e ricorso per Cassazione, sono più brevi. L’utilizzo dei riti speciali rende più veloce l’iter procedurale, ma le ipotesi per ricorrere a tali modelli sono circoscritte: infatti, le prove devono essere assunte senza lunghe indagini, oppure l’imputato non deve avere interesse di giungere al dibattimento, limitando in tal modo le sue garanzie, oppure ancora la pena deve essere determinata con facilità. Il vantaggio dell’uso del rito speciale comporta un risparmio di energie processuali e deflaziona il carico processuale, ma ciò ha risolto solo parzialmente la questione della lentezza della macchina burocratica, non evitando che alcuni problemi ancora pendenti recentemente riemergessero, ad esempio le scarcerazioni facili di persone non meritevoli di tali misure premiali.
E’ chiaro che con il procedimento ordinario vi è la possibilità di giudicare i soggetti con indagini svolte a più ampio spettro e le possibilità d’errore teoricamente potrebbero essere minori. La lunghezza del processo, però, può rendere l’intero lavoro inefficace, a causa delle scadenze dei termini di custodia cautelare, rischiando di limitare la validità di lunghe indagini.
di Giuse Ortali