Il libro di mio fratello
Febbraio 27, 2008 in Libri da Stefano Mola
Titolo: | Il libro di mio fratello |
Autore: | Bernardo Atxaga |
Casa editrice: | Einaudi |
Prezzo: | € 19,00 |
Pagine: | 398 |
Dei premi letterari si parla spesso male. È uno dei tanti sport da bar, credo. È chiaro che scegliere alcuni volumi nell’innumerevole novero dei libri pubblicati è un’operazione arbitraria, eccetera. Eppure i libri hanno vite strane. Ce ne sono che paiono divi del cinema, e te li ritrovi pure che occhieggiano dai cartelloni delle strade. Altri circolano di mano in mano con un bisbiglio, come dosi di sostanze stupefacenti (innocue, sia chiaro). Altri ancora invece, forse più schivi o più pigri, sonnecchiano all’ombra degli scaffali, non hanno voce di sirena. Poi magari arriva un Premio Letterario, come il Grinzane, e li porta alla ribalta. Così capita che sentieri di lettori li intersechino, e li adottino.
Da alcuni anni faccio le recensioni dei finalisti al Grinzane. Mi ha aiutato ad adottare, visto che tutto non si può sapere e non sempre si guarda nelle ombre delle librerie. Mi è successo anche per questo romanzo di Bernardo Atxaga, di cui vi parlo qui.
Due parole sulla trama. È la storia di un uomo, David, dagli anni Trenta alla fine del Ventesimo secolo, da Obaba (Paesi Baschi) alla California. Dall’infanzia all’esilio, con il filo rosso delle amicizie. Lo sfondo è scuro, incombente: la dittatura franchista, il separatismo basco, il ritorno della democrazia il terrorismo dell’Eta. E i ricordi che gli vengono raccontati, quelli dei vecchi: dunque anche la Guerra Civile spagnola.
Eppure questo sfondo, per quanto ineludibile, non prevarica. Non è un libro indottrinante, non ha vuole divulgare una verità, il desiderio di fare una lezione. Fa in primo luogo una cosa: raccontare un’esperienza. È soprattutto un romanzo di formazione. Ci sono il difficile rapporto con il padre, implicato con la dittatura; quello bellissimo con la madre, che dirige una scuola di cucito. La sua passione per la letteratura, quella emergente per la scrittura. L’attaccamento a Obaba, alla natura, alla terra basca, ai colori, agli amici che vivono una vita diversa dalla sua.
È un libro che racconta divisioni. Normale, poiché dentro c’è tutta l’adolescenza, momento quasi per definizione sospeso tra quello che non si è più e quello che non si è ancora. Tra la vita della città e degli studi e quella della campagna. Tra la vita che il padre gli vorrebbe imporre e quella che David vorrebbe cercare di vivere per sé. In piccolo, per autosimilitudine, questi sono tutti riflessi delle divisioni più grandi, di quelle storiche e politiche, cui si è accennato prima.
Non per nulla forse, strutturalmente, è un libro che racconta un altro libro. All’inizio chi ci parla è Joseba, dalla California, dove è andato a trovare per l’appunto David. David ha scritto un libro che non ha mai fatto leggere a nessuno. Joseba, che è uno scrittore, dopo la morte di David ci consegna il libro che leggiamo noi, dando la parola in prima persona a David. Il suo libro è la storia della sua vita.
La bellezza di questo libro, per me, è nella sua capacità di raccontare l’incertezza, quel certo sguardo sulle cose che è tipico di un periodo della vita. La capacità di dar corpo alla distanza, o meglio, a come le distanze tra le persone si accorciano o si allungano. A questo proposito ci sono due capitoli stupendi: quello in cui David racconta come è nata la storia d’amore con la donna che diventerà sua moglie, in California, e quello in cui racconta il suo rapporto con Virginia, una donna di Obaba, di cui è stato lungamente innamorato prima soltanto con lo sguardo. Delicatezza di tocco e insieme precisione. Riuscire a fare questo significa la possibilità dell’universalità: essere letto non solo come documento d’un paese e d’un momento storico, ma come specchio, come metro su cui confrontare le nostre sensazioni ed esperienze.
di Stefano Mola