Il paese dove non si muore mai
Aprile 17, 2006 in Libri da Stefano Mola
Titolo: | Il paese dove non si muore mai |
Autore: | Ornela Vorpsi |
Casa editrice: | Einaudi |
Prezzo: | € 10,00 |
Pagine: | 111 |
Con questo breve e intenso libro, Ornela Vorpsi ha vinto il Premio Autore Esordiente al Grinzane 2006. Qual è il paese dove non si muore mai? È l’Albania: di polvere e fango è fatto questo paese; il sole brucia a tal punto che le foglie della vigna si arrugginiscono e la ragione comincia a liquefarsi. Da ciò nasce una specie d’effetto secondario (temo irrimediabile): la megalomania, delirio che in questa flora germoglia come un’erba pazza. Da ciò anche l’assenza di paura […] La paura è una parola senza significato. Lo vedi subito nei loro occhi che sono creature immortali. La morte è un processo estraneo [pag 1 e 2]
Che cosa ci racconta dell’Albania e quale Albania? È il paese dove ancora domina il regime comunista, divisa incongrua indossata da una terra che qui è dipinta in una brutalità che appare come tribale. Il racconto, che procede per brevi capitoli densi, è la storia di una bambina che si affaccia al mistero di diventare donna. Mistero che inizia presto, perché al suo fianco risplende oscuramente la bellezza altera e nervosa della madre. Una bellezza che è valore in sé, ma al tempo stesso, ghiaccio sottile sospeso sull’abisso della condanna. Essere belle è già indizio di una colpa, la puttaneria.
Qui gli uomini sono praticamente assenti, ricoprono un ruolo solo: quello di chi desidera il possesso del corpo femminile. Desiderare è forse un verbo troppo lieve, coinvolge dimensioni e sensazioni che oltrepassano la soglia della brutalità. Nei confronti della donna sembra esistere unicamente la volontà, meglio, l’istinto, di possesso: sempre in sciagurata inconciliabile dialettica con la suprema idolatria della verginità. Una volontà istinto che la dottrina del partito non ha modificato. L’ideologia si fa liturgia, catechismo recitato in una lingua sconosciuta, generatrice di punizioni, ostracismo, deportazione, miseria, meschinità.
Con alle spalle questo sfondo, è chiaro che il corpo non può non essere centrale: il proprio e l’altrui. In primo luogo, forse unicamente, quello della donna: che, come abbiamo già visto, è al tempo stesso valore (se bello, dunque desiderato da molti) e condanna (se molti lo desiderano, è impossibile che non venga concesso). Si veda ad esempio il passo seguente: mostrando spietatamente a noi il suo sedere sublime, le sue cosce lisce la cui forma non viene alterata dal correre. Quando ci muoviamo noi altre, la carne ci segue. E i movimenti della carne non sempre sono graditi alla vista [pag. 53]
In questo universo, l’amore non può che smaterializzarsi, diventare distillato e spirito, sospinto in un altrove dalle parole dei libri, letti di nascosto: nel frattempo ho scoperto il mio nutrimento: i libri. Leggevo fino all’esaurimento di me stessa [pag. 34]. Le sue letture sono i grandi romanzi della tradizione occidentale. L’amore diventa allora come socchiudere una porta verso una dimensione misteriosa e negata, qualcosa che non si conosce, che non si è mai sperimentato, che non si sa cos’è. Al tempo stesso, pare di non poter fare a meno della sua ricerca: una cosa sconosciuta, eppure l’unica in grado di dar valore all’esistenza. Ma questo amore, seppur di qualche gradino superiore a quanto le mostra la sua esperienza quotidiana, è poi così diverso? Le parole della Vorpsi sono una sintesi assai efficace: Le ragazze avevano quasi sempre 18, 20 anni. L’uomo poteva averne di più. Lui ha diritto più a lungo a questa cosa deliziosa che è l’amore […] La donna deve svegliarsi presto al mattino, spruzzare acqua fresca sul viso per rinvigorirlo dal torpore del sonno, il marito non deve vederla con il viso gonfio e assente. Dio, quanto chiedono questi uomini [pag. 35]
Per questo quindi, se gli uomini non esistono, se la loro unica vera volontà sembra essere quella del possesso del corpo femminile, se a questo si aggiunge la cappa polverosa e pretenziosa del regime, non restano altro che le storie delle donne. Non solo quella della protagonista, che forse proprio per questo muta di nome nel corso del libro, con un punto di vista narrativo che oscilla tra la prima e la terza persona. Si potrebbe forse azzardare che questo libro racconta un po’ della storia di tutte le donne, non solo di quelle dell’Albania. E per averne una conferma, si leggano le pagine dedicate al quadro di Delacroix in cui una donna a petto nudo svetta sulle barricate e soprattutto l’amarissimo capitolo finale che racconta l’approdo della protagonista e della madre in Italia.
Un esordio, questo di Ornela Vorpsi, del tutto convincente. Non solo per la profondità di analisi raggiunta attraverso una ingenuità solo apparente, ma anche per la lingua utilizzata: le parole ogni tanto sembrano fuori asse, hanno accostamenti che sorprendono, cose come: una pioggia breve di primavera diroccava Tirana. Bene ha fatto il Grinzane a portare Il paese dove non si muore mai alla ribalta del Premio Autore Esordiente.
di Stefano Mola