Indecipherable trip
Settembre 3, 2003 in Medley da Sonia Gallesio
I mali scoperchiati da Pandora non si disperdono nel mondo, ma si iscrivono sulla pelle di questi uomini, remoti eppure esordienti, ingabbiandone il moto sotto forma di una ferrea trama continua, senza smagliature…
[Virginia Baradel, Prologo per RabaRama]
Venezia. Nell’incantevole complesso di San Giovanni Evangelista, la suggestiva atmosfera di Spazio Badoer – misteriosa ed arcaica – avviluppa ed accoglie un nutrito gruppo di sculture di RabaRama.
Nata a Roma e diplomatasi all’Accademia di Belle Arti di Venezia, l’artista è maggiormente nota proprio per le sue opere scultoree, incentrate sulla figura umana e contraddistinte da una singolare forza espressiva.
In bronzo dipinto e spesso di ampie dimensioni, i suoi corpi riconducono ad una condizione di stasi o di lento risveglio. La fissità e la teatralità delle pose nelle quali questi sono ritratti rimandano appunto ad una sorta di pacatezza, ad un apparente assopimento della coscienza e della carne. Ad un torpore che però non è ottusità o cecità, bensì riflessione, insicuro ed umile ascolto di sé. I soggetti di RabaRama si mostrano rapiti da una meditazione pessimistica perché fondata sul senso della precarietà, sulla consapevolezza della mancanza del libero arbitrio.
Se alcune figure sono accovacciate, strette a se stesse, rannicchiate quasi in posizione fetale, altre si stirano timidamente, forse un po’ impacciate, movendo i primi passi verso un’emancipazione sia spirituale che fisica. Allungando le membra si ‘dischiudono’ pian piano, quasi come se queste ultime volessero autonomamente esplorare il mondo (“provano a uscire nello spazio, a saggiare l’aria e la luce…”, Virginia Baradel).
I personaggi di RabaRama sono fragili nell’anima, ‘delicati’ dentro. E forse è per questo che sono dotati di una ‘pelle’ del tutto particolare, costituita da orditi modulari e colorati, in modo che possa fungere da corazza, da “involucro coriaceo atto a proteggerne la fragilità [del corpo, della nudità], la vulnerabilità commovente e imbarazzante della sua finitudine terrena” (Baradel).
Come fossero cellule epiteliali, o squame-valvola che filtrano la realtà, i tasselli di un puzzle, gli intrichi di un labirinto o i pezzi di un domino rivestono creature spesso sessualmente ambigue, con grandi mani e piedi.
La cute diviene guaina contenitiva e protettiva, dunque, ma anche filtro, e ancora schermo, pagina, spartito da leggere. O tracciato, mappa da decifrare. Un insieme ordinato di forme, geometrie ed elementi cromatici che narra e rivela, ma che al contempo preserva, difende. E’ un fattore fondamentale e vitale, una soglia, il confine traspirante tra le dimensioni del dentro e del fuori. Un’epidermide a scaglie, tra le quali sono nascosti codici e linguaggi.
Talvolta, poi, accade che questa pelle si laceri, si apra, lasciando intravedere porzioni di corpo veramente nudo. Così l’ha descritta Virginia Baradel: una “veste elastica, un duttile sudario che si tende tra le membra ora colte nello sforzo sublime di rigenerarsi e uscire allo scoperto”.
Il nucleo di sculture selezionato per l’esposizione veneziana comprende molte opere già note agli estimatori di RabaRama, si pensi a Trans-calare o a Codice genetico (entrambe del 1998), ma anche lavori più recenti, riflettenti un’interessante evoluzione tecnica dell’artista (Legami, inclusione di terracotta in resina poliestere).
RabaRama – Indecipherable trip
Scuola Grande San Giovanni Evangelista, Spazio Badoer
San Polo, 2454 Venezia
Fino al 10 settembre 2003
Ingresso: libero
Orari: tutti i giorni, 10.30-19.30; martedì chiuso
Per informazioni: 049 66.54.47
Sito consigliato: www.rabarama.com
di Sonia Gallesio