Insostenibile leggerezza per il Re Lear veronese
Luglio 18, 2004 in Musica da Redazione
Applausi a scena aperta per il Re Lear, rappresentato dal 7 all’11 luglio al Teatro Romano di Verona. La pièce di debutto del festival shakespeariano convince un teatro gremito, non smosso nemmeno dagli accenni di pioggia di un 8 luglio un po’ balzano. E comunque, la pioggia sembra quasi uno sfondo naturale a questa catastrofe degli affetti e delle certezze, al crollo di tutto un mondo che si rappresenta in scena.
La scenografia è scarna ed essenziale, la regia sobria, per lasciare alla capacità espressiva di un cast notevole la resa di questo testo tragicissimo che si apre su una dichiarazione d’amore richiesta e quasi estorta e che si chiude sull’evidenza dell’impossibilità della stessa.
Amore (proclamato ma sostanzialmente negato) e morte, dove l’amore vero cede il posto alla calunnia, alla credulità, alla cecità dell’uomo incapace di “sentire” e di discernere vero e falso. Cieco su tutti il re, incapace di capire e destinato per questo alla follia e all’annientamento, alla spoliazione di tutto: potere, affetto, dignità, sanità mentale. Ed è un grande Roberto Herlitzka che rende il tormento di un uomo che, nella sua interpretazione, sicuramente originale, è più un padre anziano e deluso, tradito e sofferente, che un sovrano privato del potere.
Herlitzka esprime magistralmente i vari passaggi della follia di quest’uomo colpito nella sua più intima realtà, nei suoi affetti più cari, che soffre, tanto più rendendosi conto di aver lui stesso provocato la catastrofe con il suo orgoglio testardo. Ed è francamente commovente e struggente questo vecchio dalla voce bassa e rotta che si impone di non piangere, debolezza muliebre, a fronte dello svanire di ciò che ha di più caro, o questa figura sempre più spoglia e scarna, anche nelle vesti e nell’aspetto esteriore, che sfida i venti e l’uragano in una notte di follia.
E se vigorosa e intensa è l’interpretazione di Roberto Herlitzka, non da meno è quella di Luca Lazzareschi, che con notevole energia tratteggia la figura di Edgar, il figlio legittimo di Gloucester, che per sfuggire alla condanna veste i panni di Tom, reietto e pazzo, dominando la scena.
Ad Alessandro Preziosi, acclamato dal pubblico femminile nel momento dell’applauso finale, il compito di impersonare il cattivo di turno, l’illegittimo Edmund, ago di una bilancia apparentemente impazzita che induce i personaggi a disconoscere gli affetti e i valori più sacri.
Grandi attori e grande emozione dunque per uno spettacolo toccante e struggente, originale e dalla leggerezza quasi impalpabile considerate le tre ore di recitazione e il tema tragico e difficile affrontato, che evoca senza possibilità di errore quanto la catastrofe sia molto più spesso il frutto della cecità, dell’ignoranza e della stupidità umana piuttosto che il risultato della malevolenza divina o dell’ingegnosità dei malvagi, a cui in fondo basta scrivere qualche lettera e montare qualche situazione per essere creduti seduta stante.
Un pensiero sussurrato e quasi insostenibile, questo, per i numerosi spettatori turbati e commossi. Un pensiero che fa riflettere e che contribuisce all’attualità del testo shakespeariano. Uno spettacolo struggente, emozionante, coinvolgente. Un’emozione che il linguaggio, notoriamente limitato ed imperfetto, fatica a rendere appieno. Un’emozione blu, di quel blu intenso e devastante che lascia muti e pensosi. Insomma, uno splendido debutto degli appuntamenti di prosa dell’estate veronese, che una cornice magica come quella del teatro romano contribuisce a rendere indimenticabile.
di Paola Perazzolo