Intervista a Eliana Bouchard
Agosto 18, 2008 in Libri da Stefano Mola
Eliana Bouchard, nata a Rorà, vive e lavora a Roma. È corista e studiosa di musica barocca. Con Louise, suo romanzo d’esordio, è entrata nella cinquina del Premio Campiello 2008.
Come è nata l’idea di raccontare una storia ambientata nel 1500, e perché, tra tutti i percorsi possibili seguire proprio le tracce di Louise?
Sono prima di tutto un’accanita lettrice e spesso mi accade di leggere storie di donne vissute in altre epoche. Quasi sempre le ricostruzioni mi lasciano insoddisfatta. Poco traspare di queste esistenze, molto invece si apprende dei loro mariti, figli, padri. Le donne appaiono così schiacciata da presenze ingombranti ma soprattutto diverse, molto diverse. Vorrei sapere di più di ciascuna, nella sua interezza, ma le cronache dicono poco, le corrispondenze sono scarne. Il Cinquecento mi interessa perché è il secolo della Riforma, del rinnovamento religioso, della traduzione della Bibbia in volgare. Le donne possono leggerla, così come gli uomini, senza più intermediazioni. Ho scelto Louise perché mi ha colpito la sua vicenda. Una donna fragile e tenace che procede impavida attraversando tragedie immani.
Che lavoro di documentazione c’è dietro il romanzo?
Quando ho conosciuto Louise non intendevo scrivere un libro. Ero interessata a rintracciare ogni elemento possibile della sua lunga esistenza. Tutto qui. L’ho cercata nelle biblioteche, negli archivi, nei luoghi in cui è vissuta, nella musica che cantava, nell’arte figurativa che la circondava.
Quali sono stati i principali problemi “tecnici” nella scrittura, dovendo parlare di un mondo e di un tempo così diverso dal nostro?
Non potevo usare il discorso diretto, ci ho provato ma era veramente ridicolo. Ho scelto un italiano colto, ricco, classico. L’italiano è una lingua bellissima che si presta nelle sue sonorità a un andamento musicale. Ho cercato di fondere parole e musica, anche perché il linguaggio musicale, più di quello figurativo mi permetteva di andare indietro nel tempo. Ho ascoltato molta musica che si eseguiva in quel tempo. L’ho cantata e poi ho scritto.
È venuta subito e naturale la scelta della prima persona singolare come punto di vista per la narrazione?
Su questo non ci sono mai stati dubbi, è di me che si parla, per il tramite di Louise.
Se la domanda non è troppo personale, qual è il suo rapporto con la religione e la religiosità?
Provengo da una famiglia di credenti. Studiando la vita di Louise mi sono resa conto che c’erano molte più somiglianze fra la sua famiglia e la mia che fra la mia e quelle dei miei contemporanei. Provengo da una famiglia di antiche consuetudini religiose e di moderne vedute sociali. Non mi pare invece possibile parlare della mia fede personale in un’intervista.
È possibile trovare una eco tra i conflitti narrati nel romanzo e quelli che troviamo in questo momento storico?
La questione della tolleranza, che è il vero protagonista del libro, sta oggi su tutte le pagine dei giornali. Quando andavo a scuola, ho sempre trascorso l’ora di religione da sola, fuori dalla mia classe, in attesa di poter rientrare insieme ai miei compagni di scuola. Spesso li aiutavo a preparare i compiti di religione. In effetti di Bibbia ne sapevo parecchio più di loro. Ero tollerata. Sapevo di essere diversa, la cosa non mi pesava, ma credo che il senso di solitudine mi sia rimasto per sempre. Mi dispiaceva che nessuno fosse interessato alla mia diversità. Immagino che i bambini dei migranti, in questo nostro paese, coltivino questo sentimento all’ennesima potenza. Oggi la tolleranza, nel migliore dei casi, ha lasciato il posto all’indifferenza.
Louise è il suo primo romanzo. Come è arrivata alla scrittura? Quali sono i suoi principali riferimenti letterari?
Sì, Louise è il mio primo romanzo. Ho sempre scritto lettere, recensioni, qualche articolo. Poche cose molto rifinite. Scrivere di lei è diventato quasi una necessità o forse più semplicemente ho finalmente avuto il coraggio di provare. I miei riferimenti letterari non si contano. Posso dire che di volta in volta, nel corso della mia vita, avrei voluto scrivere come Francisco Coloane, come Alice Munroe, come Magda Szabò. E prima ancora come Tolstoj, come Dostoevskij. Diciamo che ho avuto un’alimentazione ricca e varia. Non mi sono fatta mancare niente.
di Stefano Mola