Intervista a Vig, il disegnatore di Brendon e di Mayapan
Novembre 1, 2007 in Arte da Redazione
La tecnica, l’arte e il mestiere di un grande fumettista italiano: Joseph Viglioglia. Parte terza
Restiamo un attimo su Mayapan, il lavoro in due volumi che hai realizzato per Vittorio Pavesio. Come siete partiti per la sua progettazione?
In un primo momento abbiamo inventato tantissimo, senza porre alcun limite. Ma poi siamo stati costretti a seguire le leggi di un mondo che piano piano veniva creandosi sotto i nostri occhi. Certi elementi erano chiari sin dall’inizio, ma altri, i dettagli si sono aggiunti con il tempo, alcuni proprio all’ultimo. Ad esempio, nelle bozze, Leah non ha mai avuto i capelli verdi. Quello è un dettaglio che ho scelto neanche un mese prima di iniziare a colorare le tavole. Leah doveva essere biondissima all’inizio, quasi bianca. Poi ho pensato che poteva essere gustoso farle gli occhi verdi come i capelli, e poi le labbra dello stesso colore.
E in generale, durante i due anni di progettazione molte cose sono cambiate. All’inizio Leah doveva fumare, ma poi abbiamo deciso che non era corretto con la struttura della storia che avevamo in mente. E abbiamo espunto sia le sigarette, sia il concetto generale di fumo.
Mayapan è un’opera in cui convogliano la tecnologia scientifica tipica occidentale e il mondo dei Maya. Anche questo era un elemento chiaro fin dall’inizio?
In un certo senso sì. Quando ho incontrato Flavio Troisi la prima volta, gli ho subito detto: “Io ho degli elementi ossessivi che devo liberare in un fumetto. Se non lo faccio non riuscirò a fare altro”. Uno di questi era ambientare la storia in una megalopoli tecnologicamente avanzata, una città enorme, in cui ci si può perdere. Adoro questo tipo di ricostruzioni, per i forti contrasti che contiene. So quanto una metropoli può essere sporca, orribile o violenta, ma la sua enormità paradossalmente rischia di sottolineare l’importanza degli affetti. Pensa a quanto è eccezionale trovare una persona all’interno di un posto così immenso: è una fortuna incontrarla ed è molto facile perderla. Senza l’indirizzo o un numero di telefono è impossibile rivedersi. Lo trovo un elemento fortemente romantico.
Altri elementi “ossessivi” sono stati sicuramente la volontà di creare un personaggio femminile come protagonista, o di utilizzare macchine volanti come mezzo di trasporto. E poi la violenza, così estrema che è necessario essere proprio equilibrati per non esserne travolti.
Ma Mayapan che cos’è? Lo sviluppo tecnologico della civiltà Maya o altro?
Questo è un punto importante. Noi abbiamo giocato molto sull’ambiguità dello sviluppo della civiltà Maya. Può essere come dici tu, oppure altro ancora. Può essere che i Maya si sono scontrati, nel corso della loro storia, con una civiltà molto più potente della loro e hanno vinto.
L’idea di fondo è che la popolazione originale di Mayapan è comunque composta da terrestri provenienti da un pianeta ormai desertico e che in qualche modo hanno abbandonato. Nella loro ricerca finiscono nell’approdare su un pianeta roccioso con una megalopoli spaventosa. Ed è lì che scoprono una tecnologia di molto superiore alla loro e che forse non impareranno mai ad utilizzare correttamente. Pensa ad un uomo delle caverne che si trovi all’improvviso con un computer… sarebbe in grado di comprendere del tutto il significato? A questo poi si aggiunge la compresenza di elementi e simboli tribali, il tabù del deserto, e la paura di affrontare l’ignoto.
I colori della fantascienza sono molto diversi da quelli di Mayapan. Perché questa scelta? È un tuo percorso artistico o esiste una precisa ragione?
In parte la mia colorazione risente dell’esperienza fatta con i Tarocchi di Avalon, ma è vero fino un certo punto. Non avrei avuto problemi ad adattarmi ad un altro stile. Invece è soprattutto vero che i Maya utilizzavano colori molto brillanti.
Quindi è stata una coincidenza fortunata…
Non saprei. Ho ampliato il mio stile dal primo al secondo numero. Noterai che ho aggiunto molto nero nell’episodio due, con numerosi contrasti ed effetti di luce. In un primo momento avevo davvero molta diffidenza a utilizzare il nero pieno, ma poi ho visto che mi permetteva perfino di velocizzare il lavoro.
In che modo?
Con i colori che usavo in precedenza, ottenere la giusta intensità era un lavoro lungo. Soprattutto perché non inserivo subito le ombre e il punto più scuro di tutta la tavola. Le componevo dai toni più chiari a quelli più scuri, con infiniti passaggi, mentre adesso inserisco subito il punto di ombra massimo e poi distendo le sfumature.
Vittorio Pavesio ha interferito nella sceneggiatura o vi ha sempre lasciato liberi di seguire la vostra ricerca?
Vittorio ci ha sempre lasciato totale carta bianca, ed è stato esemplare in questo. Non ha mai interferito di una virgola. Gli piaceva il lavoro e ci ha fatto continuare secondo le tracce che avevamo costruito. E più di così davvero non si può, abbiamo fatto totalmente ciò che volevamo. Pregi e difetti sono tutti nostri. Anche graficamente ho avuto la possibilità di sperimentare in ogni modo.
L’intervista continua…
Leggi la quarta e conclusiva parte dell’intervista cliccando qui sotto:
Intervista a Joseph Viglioglia parte quarta
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Intervista a Joseph Viglioglia parte prima
Intervista a Joseph Viglioglia parte seconda: Vig ed il disegno
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di Davide Greco