L’emozione di riscoprire Soffiantino
Aprile 16, 2002 in Arte da Sonia Gallesio
Visitare la mostra dedicata alla produzione di Giacomo Soffiantino alla Sala Bolaffi significa perdersi tra suggestioni senza tempo (la sottoscritta ha vagato tra le tele – profondamente colpita – per più di un’ora e mezza…) e rimanere stregati da richiami che non sappiamo identificare con certezza, ma che sicuramente fanno parte della nostra esistenza – da sempre.
E così le inquietudini diventano forme soltanto suggerite, non traducibili ma comunque reali, dai contorni non delineati ma forti, incisive e presenti. Giacomo Soffiantino indaga il rapporto tra la natura e l’uomo e di conseguenza interpreta quello tra la vita e la morte; gli abitanti dei suoi dipinti sono, in fondo, gli archetipi dell’antica condizione umana. Nei suoi quadri più noti ritroviamo, destreggiandoci nell’ambito di un’avvolgente caccia al tesoro esistenziale, relitti, conchiglie, gusci di granchio, indizi di realtà misteriose, intarsi che fanno smarrire e disorientano, moltitudini di ombre sotterranee che si mutano in oggetti dalle forme senza forma. La pittura di Soffiantino è una pittura del profondo, dalla matrice indubbiamente introspettiva, ma comunque filtrata dalla razionalità. Il maestro parte da un approccio figurativo per arrivare ai margini dell’astrazione, da una realtà tangibile, fisica, concreta che verrà poi smaterializzata in pura emozione. Accostandosi alla sua mirabile produzione, l’aspetto che maggiormente colpisce è la presunta assenza di vita che aleggia in diverse opere – grazie all’utilizzo di teschi, umani e non, nonché di fossili e fiori secchi; un’assenza che viene comunque ampiamente compensata, in numerose raffigurazioni, dall’impiego di simboli gioiosi ed estremamente vitali quali boschi e sorgenti. La consapevolezza che la morte farà sempre parte del nostro percorso, infatti, non impedisce all’artista di provare – e dunque descrivere – un profondo amore per la natura, di celebrare le gioie degli affetti nonché delle esperienze di rinascita e rinnovamento.
Contrariamente a quanto si pensi, Soffiantino cerca (ed ha sempre cercato) di donare leggerezza alle sue composizioni, nonostante – spontaneamente e con slancio – tenda a riempire gli spazi di cose, una moltitudine di cose…. Nelle sue opere ritroviamo suggestioni legate ad un mondo di inquietudini segrete, aleggianti, verosimilmente appartenenti ad una dimensione diversa da quella reale. Proprio per questo, almeno in parte, la sua produzione getta un ponte sul particolare mondo riflessivo dell’infanzia (nonostante il suo approccio sia rigoroso, complesso, maturo, talvolta macchinoso, consapevole e disincantato), condizione durante la quale non si ha timore di interrogarsi perdendosi nel silenzio ed abbattendo i confini. Le particolari ambientazioni realizzate, insieme ad alcune creature raffigurate (insetti e gufi e poi ancora teschi di animali), ricordano una certa produzione del Calandri, strutturalmente e tecnicamente diversa ma intrisa di atmosfere straordinariamente affini. Varie sono le metodologie di stesura del colore che il Soffiantino utilizza negli anni, dalle pennellate fluide e cariche, spesse, lucide ed inquiete – che ritroviamo nella serie “Musulmani: Olocausto”, ai piccoli tocchi, caldi e dolcemente vibranti, di una serie di lavori prodotti tra il 1975 e il 1976, riconducibili in parte all’esperienza divisionista (il periodo viene, per comodità, definito pointillisme). Il suddetto metodo, se consideriamo la scelta stilistica dell’intera opera, verrà utilizzato per breve tempo ma lo ritroveremo, negli anni, quale parte integrante di lavori più complessi. I dipinti del maestro, spesso ed erroneamente ricondotti ad un approccio informale, non sono esercizi di stile, esperimenti per affinare una tecnica. La pittura, per Soffiantino, è un mezzo – di estrema importanza ma pur sempre un mezzo – per esprimere la sua sensibilità marcata, più volte da egli stesso sottolineata, nei confronti delle realtà culturali e sociali passate e presenti. Le sue note e suggestive opere, che rispecchiano scelte compositive piuttosto ardite, non derivano affatto dal bisogno di destreggiarsi in virtuosismi – bensì dalla profonda ed impellente necessità di trasferire sulla tela i moti del suo animo, le sensazioni più disparate e la sofferenza scaturita dai violenti fatti del mondo. La sua cura, il suo attento studio, la sua progettazione, le sue lunghe riflessioni, fanno parte di un lavoro atto a rendere al meglio, nel modo più incisivo possibile, tutto ciò che in lui si scatena ed ha necessità di essere interpretato.
Le prime opere esposte in mostra, facenti parte del ciclo “Musulmani: Olocausto”, ci forniscono un intenso spunto per riflettere sulle tragedie del nostro tempo, atrocità che non potremo dimenticare mai e che, sotto altre forme, continuano a ripetersi ad oltranza. Tra i vari pezzi costituenti la serie, è doveroso ricordare “Gli uni sugli altri” e “Vortice”, incisive opere dalle quali emergono porzioni di corpo ossute, senza vita, accatastate, senza storia e senza nome; ammassi multiformi che si scontrano in confusi turbinii di sgomento, di pensieri, di anime e di terrore muto. Tra le altre numerose tele, ricordo con particolare compiacimento “Luce nel tempo” e “Ossami di pietre” (entrambe del 1975) e la “La tesa del mare” (1977): di esse mi colpisce, marcatamente, l’armonia con cui il maestro riesce a far interagire figure furtive ed insinuanti con una grande luminosità gioiosa e pacifica. Da ricordare, inoltre, “La grande ombra” (1978), affascinante trittico nel quale ben si rileva il contrasto tra il chiarore vibrante donato dal tratto divisionista e l’oscurità lucida e ferma del fondo. Nell’opera di Soffiantino la figura umana non viene rappresentata spesso ma la sua presenza, indirettamente, si avverte comunque; tutto dei suoi quadri ci porta a farlo: le ambientazioni, le atmosfere cariche di significati, la disposizione degli oggetti. Esempi di raffigurazioni umane ci vengono comunque dalle recenti opere del ciclo “Continuità” (1999-2001), anch’esse presenti in mostra. Oltre alla moltitudine di tele dipinte ad olio, a costituire questa imperdibile esposizione, è presente una ricca sezione dedicata alle incisioni ed ancora un buon numero di acquerelli. La Sala Bolaffi, realtà di sempre maggior rilievo, ha svolto in questi ultimi anni un ruolo determinante nella rivalutazione e nella riscoperta di grandi artisti piemontesi contemporanei. In relazione all’opera di Giacomo Soffiantino, ci offre l’imperdibile opportunità, fino al 28 aprile 2002, di approfondire i trascorsi di un maestro la cui opera segnerà profondamente, ne siamo certi, la concezione interpretativa futura.
Giacomo Soffiantino
Sala Bolaffi, Via Cavour 17 Torino
Dall’08 marzo al 28 aprile 2002
Da martedì a domenica dalle 10.00 alle 19.00; lunedì chiuso
Ingresso: libero
Catalogo Giulio Bolaffi Editore
di Sonia Gallesio