L’oro e l’azzurro

Marzo 28, 2004 in Medley da Redazione

Cronaca di una tragedia annunciata, potremmo quasi dire… In effetti, decidere di visitare una mostra come questa il giorno prima della chiusura ha un po’ del masochistico.

C’è abbastanza fila – anche se all’uscita mi accorgo che quella che abbiamo fatto noi non è nulla in confronto a quella che si svilupperà tre ore dopo -, la gente ti sguscia davanti e si infila da tutte le parti, alla cassa sono maleducati e poco simpatici, già all’entrata siamo stipati come sarde in saor, giusto per restare sulla gastronomia locale, figurati nelle sale.

Che poi il percorso della mostra si snoda tra mille stanzette, e se non fosse per il fatto che c’è la luce e che i quadri trattano di luce del Sud sembrerebbe un castello più che un’esposizione, con tutto questo su e giù di stanze e stanzette, dove è tutto uno “scusi, scusi” per passare e guardare i quadri. Ma tant’è, bisogna pur assumersi le proprie responsabilità, e diciamo che la scelta cronologica non è stata delle più felici.

Al solito mi colpisce l’ironia dell’esistenza, non fosse altro che fuori piove e nevica e fa un freddo cane e dentro è tutto un tripudio di colore “incendiato” e luci assolate e fiabesche, che modellano ombre, forme e pure colori, come recitano le parole di Signac che ti vengono incontro dal muro dove campeggiano scritte in blu: “la luce riflessa ovunque intacca tutti i colori e inebria le ombre”. E mica solo quelle: inebriati lo siamo tutti, a dispetto della folla e della mancanza della luce e dello spazio necessari per gustare veramente le opere. L’oro e l’azzurro conquistano.

Timidamente presenti all’inizio nel rosa delle Antibes di Monet, acquistano successivamente presenza e impatto con l’esplosione dei colori di Matisse e Dérain, con le suggestioni blu di un Munch per me inedito, dalle vedute nizzarde sempre sottilmente inquietanti ma a tratti quasi serene, contagiato forse anch’egli dagli spazi, dai colori del Midi francese, che appare al visitatore come una sorta di Eden a fatica (ri)trovato.

Ma se Il Cipresso Blu personalmente mi emoziona e mi stupisce, questo è nulla in confronto a quello che mi attende qualche sala più avanti.

Dopo il bagno cromatico di Cross e Valtat, dopo aver ammirato i Van Gogh e i Cézanne esposti, arrivo in una sala che mi toglie letteralmente il respiro, annichilita come sono davanti alle cinque tele della Montagne Sainte-Victoire, eternizzata in cinque diversi momenti a partire dal 1885 fino al 1906. Il cambiamento artistico tra le tele degli anni ’90 e quelle della decade successiva è visibilissimo: l’attimo è immobilizzato, la montagna quasi smaterializzata per un’immagine via via più visionaria, che conquista e lascia senza fiato. E non è ancora finita. Dopo Cézanne, maestro del colore e della forma come scansione dello spazio, ecco la serie degli undici Bonnard esposti, che coprono un periodo dal 1912 al 1945.

Come posso leggere in didascalia, Bonnard “dipinge l’inafferrabilità, d’oro e d’azzurro, dell’aria, il sussulto, l’anima segreta del reale”: è il tripudio dei due colori che, mi si dice, “esaltano fino in fondo le radici della luce e che tutto sembrano governare nella loro polarizzazione di luce e ombra”.

A percorso quasi finito, mi attende un’ultima, (quasi) piacevole sorpresa. L’ultima stanza, riparata e un po’ nascosta, è interamente dedicata alla Camera di Van Gogh ad Arles, uno dei quadri più conosciuti e rappresentati al mondo. E ancora una volta, la bellezza e la poesia hanno il sopravvento su altri fattori meno piacevoli ed edificanti. Se mi dà sottilmente fastidio l’enfasi di “Il quadro dell’addio”, frase che campeggia sul muro a mo’ di probabile saluto del curatore Marco Goldin, non posso che godermi i colori folgoranti che stanno a pochi metri da me. Dopodiché, la mostra è conclusa, la transizione all’uscita bruschissima. Fuori piove, fa un freddo cane: dopo il sole e i colori, è dura.

L’oro e l’azzurro. I colori del sud da Cézanne a Bonnard

Treviso, Casa dei Carraresi

Via Palestro 33/35 – tel: 0422. 513161/2

Mostra terminata il 7.03.2004

di Paola Perazzolo