L’ultimo nastro di Krause | Sudate Carte Racconti I edizione
Gennaio 31, 2003 in Sudate Carte da Redazione
Sono io il più malato. Io…io ho inventato il sudore.
Sudo talmente che non piscio mai !
GIORGIO GABER, Il febbrosario,
da Anche per oggi non si vola
Questa è la segreteria telefonica dell’ispettore Krause. Lasciare un messaggio:
“…E’ un vestito! L’ho visto, ieri, in una vetrina del centro. Dovete credermi!…è un vestito: stava dentro a una vestaglia blu, era come nascosto, ma si vedeva. Si vedeva, dovete credermi! …Là dove la vestaglia faceva un risvolto contro il cartone grigio del manichino, si vedeva risplendere, come una porzione di specchio. E’ un vestito!”
Questa è la segreteria telefonica dell’ispettore Krause. Lasciare un messaggio:
“…Dovrebbero cospargerne i confini, portarne il più possibile con delle autobotti, al centro est della Francia, al sud ovest della Germania, alla punta più a ovest dell’Austria, al nord ovest dell’Italia. Portarne tanto, tutto quello che si può raccogliere dall’Europa, un’Europa in corsa. Portarlo lì e cospargerlo nella terra, seguendo i tracciati delle mappe geopolitiche, sotto Mulhouse, a Ginevra, buttarne qualche decalitro nel lago di Losanna, farlo cadere dalla cima del Monte Bianco, annegare Domodossola, al Bormio, a Basilea, sotto Friburgo…lasciare che coli negli anfratti della terra, fino alle viscere e poi provare tutti insieme, lungo i confini, con i piedi in Francia, in Italia, in Germania, in Austria, tutti con la schiena china e le mani che cercano di imporre una rotazione alla terra…fino a che Zurigo risulti quasi sopra la nostra questura di Milano…per facilitarci il viaggio. Per farci fare più in fretta queste benedette indagini in collaborazione con i colleghi svizzeri. Che diamine!”
“Il corpo di lei ansimava, avevo le sue caviglie sulle spalle…le guardavo i piedi, strusciando la fronte accaldata sui suoi polpacci…la pelle bianchissima, liscia. Guardavo i suoi occhi celesti, chiari, quasi trasparenti…schiacciavo i suoi seni con le dita, con le mani che si stringevano a pugno…i miei gomiti che posavano sulle cosce, si attorcigliavano intorno alle gambe come fa l’edera intorno ai pali, guardavo i suoi capelli chiari…quasi bianchi tanto erano biondi…il ventilatore che ruotava sopra la mia nuca, come se un elicottero stesse volando sotto quel soffitto che cadeva a pezzi…guardavo le sue dita smaltate, dita tese, stirate il più possibile, le nocche livide, e quella sua fede al dito! Quell’orribile anello!… Quando si staccarono le gocce dai miei capelli caddero sul suo corpo nudo, sotto la linea del collo, sotto le mie mani strette nel tentare i pugni, quelle gocce che cadevano sul suo torace, sul seno…quelle gocce erano dita protese…dita in grado di separarsi da me, dalle palme, per risolversi in lei…non accontentandosi di toccare la sua pelle, correre in superficie per rapire un po’ di tatto, ma dita capaci di penetrarne i pori, scivolare nei canali delle sue pieghe microscopiche, come minuscoli rivoli alla ricerca dell’invisibile…gocce capaci di confondersi con le sue per sempre…indistinguibili per sempre. Per sempre le mie dita liquide su di lei”
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“ Ispettore…è come con le madonne che piangono sangue! Che sgorgano dagli occhi il plasma rosso, tanto è il dolore che noi uomini siamo in grado di causare! Noi che lavoriamo alla Omicidi lo sappiamo bene…assassinii ovunque: poveri esseri stroncati… E’ come per le madonne, ma ora il senso mi sfugge: hanno rinvenuto una statua di Padre Pio…non so se l’ ha letto sui giornali…beh, lo sa cosa fa di strano questa statua? Suda. Da quattro giorni. Dal giorno che hanno ucciso quella ragazza bionda, strana coincidenza vero? Lei suda. Sì, lo so bene che è solo una coincidenza, che non c’entra nulla. Strano però che una statua sudi. Sa cosa dice il mio collega Mintoti?…ora la faccio sorridere, ispettore: dice che Padre Pio fa così per dimostrare ai funzionari del Vaticano che questa beatificazione se l’è proprio sudata…ah, forte vero? Se l’è proprio sudata…”
“ A volte mi penetra negli occhi, cade dalle ciglia come collirio…allora tutto brucia. E’ come se nuotassi nel mar Nero ad occhi aperti, giù in profondità, occhi spalancati…col fiato che scoppia in petto e io lo trattengo come si trattiene la vita che fugge. Occhi aperti che urlano…e poi cristalli di sale, minuscoli, che si attaccano alla mia retina…piccoli cristalli che diventano grandi…figure geometriche perfette, trasparenti…dietro i quali osservare i pesci come da dietro una doppia lente…come se i pesci stessero tutti nuotando dentro le palle di vetro di Natale…quelle con la neve che cade sugli innamorati: acqua e pesci…”
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“ Ispettore…deve venire in questura…c’è un indizio che la riguarda sul caso di Zurigo…che la riguarda molto da vicino. Deve venire subito in questura. O la verremo a prendere.”
Il nastro smise di girare. L’ispettore sentì un rumore secco, poi due sibili a vuoto…quindi il rumore prolungato, meccanico, del nastro che corre…a lungo…come un’onda enorme, salata.
Krause era seduto in un angolo della stanza, aveva i gomiti poggiati sulle ginocchia e le mani davanti al volto. Stava al buio da diversi giorni. Non mangiava né beveva più ed era eccezionalmente magro e cadaverico.
Ci fu un altro sibilo, e la segreteria si rimise in moto.
Questa è la segreteria telefonica dell’ispettore Krause. Lasciare un messaggio:
“Non ho dormito, questa notte, ho fatto servizio sull’ambulanza, è stata una nottataccia. Ho ancora impressa nelle pupille la figura di una donna di trent’anni bianchissima, stesa su una moquette rosso rubino, accanto al suo stesso letto, sangue secco sulla guancia, occhi azzurri già stinti, sangue sulla moquette, una chiazza appena più scura, la bocca spalancata, orribilmente rigida, denti spezzati, lingua bianca, un seno fuori dalla vestaglia blu, il capezzolo pallido; i suoi lunghi capelli chiari che correvano lungo la linea del sangue. I vigili del fuoco avevano buttato giù la porta, io ho dovuto comunque operare il massaggio, sebbene il corpo intero fosse già rigido. Per legge, stupide leggi.
Ho provato a chiudere gli occhi al cadavere, troppo tardi, le palpebre erano già rigide. Quando la polizia giunse, compilando il referto, mi sono guardato intorno, in quella stanza, meravigliato di non essere affatto angosciato, anzi esteticamente attratto da tutto, e dalla bambola su tutto.
Già, c’era una bambola che aveva gli stessi occhi della donna…e stava seduta su una sedia, di fronte al corpo, come se la stesse guardando…sopra di lei un ventilatore stava appeso a un soffitto smacchiato, vernice secca che si sgretolava…il ventilatore girava, girava, girava ancora.
Stessi occhi: provai, non resistetti, seppure ridicolo di fronte ai poliziotti, provai ad abbassare le palpebre almeno alla bambola che guardava il morto, la bambola seduta lì di fronte alla lei che fu.
Almeno quella bambina innocente avrebbe smesso di guardare negli occhi l’orrore, la fine, e si sarebbe rifugiata nel suo buio.
Pigiai le palpebre, le abbassai, le trattenni per qualche secondo. Il poliziotto, appoggiato al muro, mi guardava e rideva.
Quando lasciai andare la mia mano, le palpebre lentissimamente risalirono, risalirono lentissimamente, e ancora l’azzurro sbiadito sorse a fissare quegli altri occhi, e io ci guardai dentro e vidi lì lo sguardo della morte.
Era tardi, quasi fine servizio. Il poliziotto disse: “Capitano, questa qua è viva, portatela al pronto, almeno lei”, e rise ancora. Io non ridevo, sentivo la paura corrermi lungo la schiena. La paura.
Ho guardato ancora l’ordine e la pulizia impeccabili dell’alloggio e poi vidi che i quadri della camera da letto erano tutti storti. La donna aveva lottato con il proprio cuore, con i propri polmoni, si era dimenata anche
contro il Cristo, che, appeso alla testa del letto, sembrava traballare sulla sua stessa morte, sulla croce. Poi uscii dalla stanza, mi fermai nel corridoio davanti alla porta aperta del bagno. Guardavo una confezione ancora intatta da sei rotoli di carta igienica, e chissà perché, immaginai con nitidezza pazzesca quella donna alla cassa del supermercato, pagare e mettere il pacco nella sua borsa di plastica. I poliziotti in cucina facevano casino: battevano a macchina il verbale. Io pensai che quella bellissima signora non si sarebbe mai più pulita il culo.”
Quando il giovane poliziotto gli mise le manette e lo alzò da quell’angolo, respirando a stento per quell’odore di muffa, di liquame, di sudore, Krause urlò:
“Era così bella…così bella. Era mia!…e’ scappata è si è sposata con un altro…uno svizzero…Perché lo ha fatto?…era così bella…era mia…”
“Stia calmo, ispettore – gli disse il ragazzo accelerando il passo fino alla porta, tirandoselo dietro con forza – stia calmo. Ora le leggeranno i suoi diritti…ma lei…figuriamoci…li conosce già…”
Giunti alla tromba delle scale, Krause ebbe un impeto di forza inaudita. Corse verso la finestra spalancata e tentò il gesto pazzesco di gettarsi giù, con le manette, con il poliziotto attaccato. Riuscì appena a sporgere la testa, poi fu ritirato indietro. Ma fece in tempo a sentire una goccia correre dalla sua fronte, fino alla punta del suo naso, poi la vide cadere e precipitare giù veloce, come una pallottola, precisa, rapida, impattare l’aria e deformarsi…acquistare una coda, come fosse una cometa…come fosse una rivelazione. Come fosse il suo corpo.
Sulle scale, un vecchio, salendo, cantava a voce alta un suo pezzo:
“Così valgo,
ritaglio un po’ di musica dal mondo
l’ultimo nastro nel bicchiere di fango”
“E la rima?” gli chiese il giovane poliziotto, con ironia.
“La rima non serve. Ma che ci capite voi sbirri di musicalità…voi che sbattete la gente in galera…un uomo in prigione è come una goccia di pioggia schiacciata sull’asfalto…Nel cranio, necessariamente”.
di Fabio Sciortino