L’uovo di Gertrudina
Luglio 28, 2003 in Libri da Stefano Mola
Laura Pariani, “L’uovo di Gertrudina”, Rizzoli, pp. 220, Euro 14,50
Compongono questo libro sei storie di suore. C’è suor Assunta che parte del Piemonte per andare a fare la missionaria nella Terra del Fuoco, e finisce nell’isola di Dawson, in una missione dedita all’educazione religiosa degli indios alakaluf. Ritornata in Italia, per gli ultimi dieci anni della sua vita si rifiuta di parlare. C’è Carla Francesca, un tempo per il mondo Antonia, rinchiusa nel convento perché sorpresa dal nobile marito in compagnia dell’amante. Vive nell’esclusione e nell’invidia delle consorelle, persa nel rimpianto, spezzata nel ricordo dell’amore terreno. C’è Alice sequestrata, stuprata e torturata durante il periodo più drammatico della dittatura argentina. Ci sono le delicatissime pagine dedicate che reinventano una giornata di suor Maria Celeste, ovvero Viginia Galilei, figlia di Galileo Galilei. C’è suor Transito, che ultima rimasta custodisce un convento ormai in disfacimento a Verapaz. L’amore per la deceduta consorella Candelaria scandisce ogni istante e gesto delle sue giornate in mezzo alle rovine. E l’ultimo ricordo, nel pezzo finale, è per la manzoniana Gertrude.
Ho scritto pezzo, invece che racconto, non a caso. Qui, come del resto nella storia d’esordio, la voce della Pariani si mescola in prima persona a quella dei personaggi. Perché “mi pare a volte che tutti i miei personaggi siano racchiusi nella stessa storia, la mia; e che, senza che davvero me ne rendessi conto, episodi intimi da conservare sigillosamente nel chiuso delle mie fantasie o dei miei rimorsi siano passati sulla bocca di tutti, diventando interpretazioni di altri, pagine di libri” [pag. 218]. Per questo nel libro il tempo del racconto mostra tutta la sua instabile non linearità (“si chiudono gli occhi e sono passati tre secoli e mezzo”). Accostare storie di epoche l’una all’altra lontane mette in evidenza, al di sopra e al di là del malleabile riferimento cronologico, la costante dell’esperienza e della condizione umana.
Che è illustrata da una situazione estrema, ma non per questo priva di specchi in grado di restituirci parte di noi stessi. Come dice benissimo nuovamente la voce della Pariani in primo piano, “Forse succede sempre così anche quando si legge: ché da qualche altra parte, in un altro tempo, qualcuno racconterà una storia che ha a che fare intimamente con noi, qualcosa che riguarda la polvere che siamo, il nostro niente che reclama amore; qualcosa che terremmo chiuso nella memoria e mai daremmo in pasto agli altri” [pag. 218]. E quindi non è assurdo ritrovare qualcosa di noi, delle nostre giornate, anche in queste vicende. Che, come tutte, possono essere indifferentemente frutto di una scelta oppure risultato di una imposizione senza scampo. Soprattutto, ritroviamo l’esperienza amorosa in tutte le sue componenti, chiare e scure. Di nuovo, elemento unificante al di là del gioco del tempo.
Il libro è del resto carico di rimandi. Uno su tutti, quello della musica. In ogni racconto c’è un’esperienza musicale. “Perché la vita e l’anima ci sono sempre vicine quando cantiamo, e i versi delle nostre canzoni non sono più di nessuno, escono dal nostro corpo che ci fa male, dagli occhi che guardano come fossero senza fondo, dal cuore che si rifiuta di annegare nel silenzio”.
Mi piace sottolineare nella scrittura della Pariani una notevole capacità di fusione tra paesaggio e stato d’animo. Bellissime sono le pagine dedicate, nel primo racconto, alla Terra del Fuoco, per la descrizione di spazi immensi dove non ci si può nascondere nel caos e nella commistione, ma ci si ritrova irrimediabilmente messi a nudo, e a confronto con lo spettro della solitudine, con il pericolo del dissolvimento nella natura incombente. Dove però sembra ancora possibile incontrare persone e non semplicemente sfiorare moltitudini. Questo racconto è per me il più bello, sia per quanto appena detto, sia perché il mistero della vita di Suor Assunta viene riportato alla luce poco a poco, si impone delicatamente man mano che procede il resoconto della ricerca dell’autrice, intrecciandosi al suo viaggio, ai suoi incontri, a emozioni, scoramenti, esitazioni. Un’altra pagina per me bellissima è la descrizione dell’affacciarsi delle figlia di Galileo alla finestra, di fronte a un paesaggio imbiancato dalla prima neve (pag. 155 e 156). Qui la fusione tra emozioni e paesaggio è veramente magistrale.
Inoltre, ho apprezzato molto questa concezione forte della letteratura come potenzialità di identificazione e quindi forse di salvezza. Nella pagina finale troviamo infatti che “la letteratura può anche essere gesto di libertà, di salvezza, perfino di redenzione […] le donne che allora furono forzate e sconfitte possono rivolgerci uno sguardo di sogno”. I personaggi, che possono servire da specchio per le nostre emozioni, vengono riscattati dalla parola messa in pagina, nella speranza che forse almeno questo possa essere il nostro destino.
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di Stefano Mola