La felicità non è un lusso
Aprile 19, 2002 in Cinema da Redazione
“Tredici variazioni sul tema” di Jill Sprecher, con Alan Arkin, John Turturro, Clea Duvall, Matthew McConaughey ed Amy Irving. (Usa 2001)
Il senso di colpa, l’invidia, il rancore, l’orgoglio, l’insoddisfazione, l’imprevisto, il destino, il contrappasso, la fede, la casualità e la causalità, il piatto di “Tredici variazioni sul tema” è ricco. Il tutto ruota intorno al tema, non enunciato, della felicità. “Chiediti se sei felice e smetterai di esserlo” dice Amy Irving, la splendida ex moglie di Steven Spielberg. Il navigato Alan Arkin fa invece sua la maledizione gitana: “Che tu possa avere ciò che desideri e che tu possa desiderare ciò che avrai”. “I ricchi non hanno problemi” pensa una ragazza delle pulizie, l’amica Clea Duvall, inguaribile ottimista, le risponde che l’infelicità dei ricchi risiede nel timore di perdere ciò che già possiedono. John Turturro, un apprezzato professore di fisica, decide che è ora di cambiare vita, perché l’appagamento, secondo lui, è assimilabile alla morte. Matthew McConaughey, ancora una volta nei panni di un avvocato, convive con il senso di colpa per non aver portato soccorso ad una ragazza investita per strada. Ogni giorno per ricordarsi del proprio misfatto s’incide le tempie con una lametta da barba.
Il mondo è governato dai rapporti di causa ed effetto come sostiene Turturro o dalla casualità come sostiene la Duvall? Le “operette morali” di Jill Sprecher non sbrogliano la matassa, anzi, la imbrogliano con lucidità ed eleganza. Il clima è quello di “Crimini e misfatti” di Woody Allen, la struttura dei destini che s’incrociano o si lambiscono per un attimo è mutuata dall’Altman di “America oggi”. Gli attori sono semplicemente straordinari. Professionisti, non divi, ben diretti dall’allieva prediletta di un mostro sacro come Robert Wise. Un cinema del genere, capace di approfondire con una simile leggerezza e di toccare temi così impegnativi senza cadere nello scontato, si vede raramente.
“Che cos’è la felicità?”. Confrontarsi con un quesito del genere che ha alle spalle un retroterra filosofico e letterario di millenni non è impresa da poco. La Sprecher ci riesce con un perfetto mosaico di sfumature, di “rimonte” e di sottili allusioni. “Tredici variazioni sul tema” tratteggia con impressionistica essenzialità le peculiarità psicologiche dei personaggi, inserendoli in un gioco di specchi nel quale il dinamismo interiore funge da elemento spiazzante per lo spettatore che è costretto, in un modo o nell’altro, a riconoscere nei protagonisti una parte di sé stesso. Se si pensa alla concezione monolitica del personaggio e al manicheismo imperante in tutta la tradizione hollywoodiana si può ben comprendere come il film della Sprecher possa sfuggire al gregge dei film fotocopia.
di Davide Mazzocco