La FIAT e’ malata
Ottobre 16, 2002 in Attualità da Redazione
Mamma Fiat sta male e, di conseguenza, soffrono anche i suoi figli: le aziende che fanno parte del cosiddetto “indotto”, quella galassia di stabilimenti medi e piccoli che producono accessori e componentistica per auto. Mercoledì 9 ottobre il gruppo torinese ha annunciato la mobilità per 8100 lavoratori. A Mirafiori, dove si producono vetture come la Punto, la Panda e la Thema, la cassa integrazione straordinaria riguarderà subito 1350 dipendenti, altri 2000 entro il prossimo luglio.
Una marea di padri e madri di famiglia senza più punti di riferimento, bruscamente impoveriti. “Le operazioni previste sono tutte in funzione di un rilancio” ha dichiarato Umberto Agnelli rispondendo al ministro per le attività produttive Antonio Marzano che invitava la casa automobilistica a “prendere un impegno serio per il futuro”.
Parole difficili da credere fino in fondo, soprattutto per quei padri e madri di famiglia che la cassa integrazione farà sprofondare nell’incertezza. Dei 3350 lavoratori che, nella sola area torinese, sperimenteranno la mobilità molti saranno i dipendenti delle cosiddette “aziende satellite” della provincia. Per tastare il polso delle angosce di alcuni di loro a fine settembre siamo entrati nello stabilimento dell’Italtest di Volpiano, azienda che produce schede informatiche per auto e che, con la crisi, ha dichiarato fallimento. Al rientro dopo le ferie i 70 lavoratori Italtest (in foto) hanno trovato tutto fermo e un clima spettrale da chiusura definitiva, così hanno deciso di occupare giorno e notte la fabbrica, riuniti in assemblea permanente.
L’ultimo mese è stato per loro un rosario di giorni e notti vissuti gomito a gomito cementando con la solidarietà un’amicizia che fa dire: “Comunque vada ci piacerebbe continuare a lavorare insieme”. I dipendenti non sono mai rimasti con le mani in mano, hanno pulito i locali e, per quanto possibile, hanno continuano l’attività contabile e amministrativa. Negli uffici dell’Italtest durante l’occupazione sono state sistemate brandine e sedie a sdraio, un accampamento improvvisato dove gli uomini trascorrevano il turno di presidio notturno e le donne quello diurno. Ora la recente nomina di un curatore fallimentare ha rappresentato uno spiraglio di luce nella disperazione di chi teme di non riuscire più a pagare l’affitto di casa. Maria ha 40 anni e abita a Chivasso, il suo compagno è in pensione e il lavoro all’Italtest per lei rappresenta una fonte di reddito indispensabile: “Ho problemi di salute e devo comprare medicine che la mutua non passa. A parte questo ci sono l’affitto, le bollette. Da quasi due mesi non ricevo lo stipendio e non so come farò. Questa occupazione era necessaria per evitare che qualcuno potesse entrare e fare danni o rubare. Per mangiare andavamo al bar vicino”.
La collega Sabrina commenta: “Ancora più grave è la situazione di chi ha figli e con l’inizio della scuola deve comprare libri e squadrette per il disegno. Due squadrette costano quasi centomila lire, mentre paghi ti fa impressione. Per noi donne non più giovani trovare un altro posto di lavoro è un’impresa. Fino ai quarant’anni non ti assumono perché sei madre di famiglia e temono che prenderai permessi per stare vicina ai figli, oppure, se i figli sono già adulti, non ti danno il posto perché sei vecchia”.
La rappresentante sindacale Ivana Mattana è sempre stata vicina alle sue colleghe, spesso si è fermata in azienda oltre la mezzanotte e alle otto del mattino era già di nuovo accanto a loro: “Il dialogo con la proprietà è sempre stato difficile, non si ha l’impressione di essere veramente ascoltati. Adesso confidiamo nell’opera del curatore fallimentare”. La solidarietà è l’unica ancora di salvezza per questa gente senza più certezze.
di Luca Stra