La giustizia del professor Pessotto
Marzo 2, 2001 in Sport da Roberto Grossi
Nella baraonda infernale che sembra travolgere il calcio odierno con scandali più o meno gravi, non possono non fare piacere le parole pronunciate ieri in sala stampa da Pessotto e rivolte a quel garantismo di facciata che, nella vita come nel calcio, non tutela la maggioranza silenziosa dei cittadini-tifosi. Concetti chiari e puliti, che rispecchiano sino in fondo i comportamenti dell’uomo, sempre improntati alla correttezza, in campo come fuori.
Non a caso Gianluca è soprannominato il “professorino”, un piccolo intellettuale prestato alla jungla industriale (e ignorante) del business del pallone. Gli strali pessottiani sono indirizzati non solo al mondo del calcio, ma più in generale all’intera società, e la filippica del difensore è di quelle da ascoltare, non fosse altro perché lui è uno di quelli a cui il detto “da che pulpito viene la predica” non vale di sicuro.
La vita privata del friulano è infatti a prova di bomba: beneficenza e iniziative a sostegno dei più deboli non gli fanno certo difetto; Gianluca è uno che dovrebbe essere preso ad esempio da tanti altri suoi colleghi, impegnati molto con belle donne, macchine di grossa cilindrata e discoteche, ma digiuni di tutto quel che succede attorno a loro. “Sono tanti i problemi che attanagliano il calcio – scandisce Pessotto con tono di voce deciso, ma senza la saccenza e l’invadenza dei politici – ma la violenza negli stadi è quello che mi tocca di più. Non è possibile, solo per fare alcuni esempi, assistere a scene come quelle di alcune settimane fa a Reggio Calabria, con un papà costretto a scappare insieme ai suoi due bambini per colpa di alcuni delinquenti. Oppure ciò che è successo domenica a Foggia, o ancora il lancio di oggetti pericolosissimi dagli spalti che avviene in quasi ogni partita, con i portieri che rischiano la vita: è pazzesco e nessuno vi pone rimedio”.
Quel che succede nell’universo football è specchio fedele della società in cui viviamo, il calcio non è un’oasi felice: “Anche nella vita comune, prosegue il professorino, quella di tutti i giorni, si parla tanto di giustizia, ma non si fa nulla per attuarla. E pensare che le leggi ci sono, e sono chiare, ma non tutti le rispettano, e soprattutto nessuno le fa applicare. In questo modo la gente si sente sfiduciata e impotente, e ha ragione a protestare”.
Ad avallare la tesi di Pessotto concorre un piccolo ricordo personale del bianconero: “Tanto per dire cosa avviene in Italia, vi racconto un piccolo episodio che mi è accaduto: vengo fermato in un posto di blocco dalle forze dell’ordine per un normale controllo, sono senza cinture di sicurezza, mi aspetto una multa, e invece niente. Eppure la legge esiste e va applicata: se non ho le cinture merito la sanzione, cosi la prossima volta magari mi ricordo di indossarle”.
Le regole valgono nel codice della strada come negli stadi, per chi passa con il rosso e per chi è scoperto con un passaporto falso. Un’equazione facile, nessuno chiede la luna, soltanto il rispetto e l’applicazione delle leggi: “Si, dovrebbe essere così, bisogna far rispettare le norme. Vi sembrerò forse troppo “giustizialista” e severo, ma io sono favorevole a comminare pene durissime verso chi compie atti di vandalismo e di teppismo negli stadi. Esattamente come fanno in Inghilterra, dove se sbagli finisci in galera e ci resti sino all’ultimo giorno senza condizionali. Infatti gli stadi, in quella nazione, sono diventati un luogo sicuro e gli hooligans per sfogare la loro bestiale violenza sono costretti ad andare all’estero. Allora mi chiedo: in Italia non è possibile fare allo stesso modo? Se chi sbaglia viene punito, la prossima volta ci penserà due volte prima di sbagliare ancora e lo stesso farà chi gli sta intorno. E’ semplice, no?”.
Forse troppo semplice per un paese complicato come il nostro.
di Roberto Grossi