La moglie del pastore
Gennaio 30, 2005 in Libri da Tiziana Fissore
Titolo: | La moglie del pastore |
Autore: | Elizabeth Von Arnim |
Casa editrice: | Bollati Boringhieri |
Prezzo: | € 20 |
Pagine: | 436 |
In questa rubrica troppo sovente tendiamo a parlare di libri usciti di recente, dimenticando qual è il nostro vero scopo; lo dice il nome stesso ‘Libri non yougurt’ cioè libri senza scadenza ed è per questo che sovente torno a citare e recensire opere scritte anni fa, con un linguaggio diverso, un modo di pensare differente dalla società odierna ma che hanno segnato un punto di rilievo nella storia della letteratura italiana e straniera. Naturalmente cerco di citare testi che si possano trovare nelle librerie perché ritornati (anche se in sordina) in auge.
E’ questa la volta de ‘La moglie del pastore’ di Elizabeth von Arnim, scrittrice australiana, nata a Sydney nel 1866, il cui vero nome era Mary Annette Beauchamp, cugina di un’altra scrittrice Beauchamp, meglio conosciuta come Katherine Mansfield. Il cognome von Arnim è quello del primo marito. La von Arnim fu una grande intellettuale, conobbe Forster, Walpole e H.G. Wells (con il quale ebbe una relazione) la descrisse come ‘la donna più intelligente della sua epoca’.
Questo romanzo risale al 1914 e racconta la vita di una giovane ed ingenua ragazza inglese, Ingeborg Bullivant, figlia di un vescovo che presa da un raptus di desiderio di libertà si concede una settimana di vacanza a Lucerna dove conosce un rigido pastore protestante che sposerà: Herr Dremmel. La sua scelta sarà causa di delusione agli occhi del padre che la voleva nubile per continuare a farli da segretaria, braccio destro e per permettere all’altra figlia molto bella ma molto più insignificante dal punto di vista intellettuale, di sposarsi.
Ingeborg si trova fidanzata senza rendersene conto al pastore Dremmel e se in un primo momento è perplessa e non è sicura di amarlo, dopo diverrà veramente una sposa innamorata, devota e metterà al mondo sei figli (quattro morti prematuramente) in pochi anni di vita matrimoniale. Naturalmente la sua salute ne risentirà ed avrà il divieto dal medico di avere altri figli; tutto ciò accentuerà il distacco da parte del marito, troppo preso di sé e che accetta come uno sgarbo la condotta della moglie, un marito troppo assente e distante per accorgersi che un altro uomo, il pittore Ingram, cercherà di portargli via la moglie. Non rivelo il finale che è a sorpresa ma voglio accentuare lo stile con il quale viene raccontata l’intera vicenda, uno stile garbato, ironico, quasi un teatro dove i personaggi mantengono le loro caratteristiche invariate sino alla fine, come se la natura umana non possa cambiare nonostante gli eventi ma che nonostante diversi aspetti ha un punto di comunione. Più pesanti quelli maschili: il padre o meglio il vescovo anglicano ha la sua bigotteria che pare diversa dalla pomposità del pastore prussiano, privo di umorismo, ma che in realtà sono poi le stesse facce di una forma di egoismo maschile che troviamo in seguito, nella seconda parte del romanzo, anche nel personaggio del pittore Ingram, apparentemente seducente ma che si rivelerà poi pesantemente narcisista, capriccioso, insopportabile e pure lui egoista.
I personaggi femminili invece sono più variopinti, più colorati dalla madre di Ingeborg che definirei una malata immaginaria per attrarre l’attenzione di chi la circonda alla madre del pastore, cocciuta, ottusa (come il figlio) chiusa nel suo mondo, alla sorella bellissima ma senza personalità fino ad Ingeborg, la cui colpa sta solo nella sua ingenuità che si riscatta brillantemente con la curiosità di sapere, di entusiasmarsi, nel cercare il bello che può offrire la vita. La protagonista dunque brilla, grazie all’autrice, su tutti gli altri, più noiosi e pedanti per la sua freschezza, ingenuità ed incrollabile innocenza che la fanno diventare, senza saperlo, una primissima femminista che ama essere se stessa, mescolandosi ed uniformandosi alla natura che la circonda e sarà da questa stessa natura che Ingeborg riceverà la forza di vivere, combattere ed in un certo senso a vincere sulle convenzioni che costellano la sua rassegnata esistenza.
Il linguaggio adottato è raffinato, ricco di descrizioni argute, sia quando descrive i personaggi, sia quando descrive la natura che fa da scenario alla vicenda e non è da meno quando denuncia l’ambiente ristretto e pettegolo della borghesia inglese del tempo e quello ottuso pieno di consuetudine della borghesia teutonica che vieta a chiunque di inserirsi.
Un linguaggio soprattutto molto diverso da quello a cui purtroppo siamo stati abituati negli ultimi tempi, ma è così bello leggere un libro dove non esistono parolacce…
di Tiziana Fissore