La notte dei calligrafi
Aprile 29, 2007 in Libri da Stefano Mola
Titolo: | La notte dei calligrafi |
Autore: | Yasmine Ghata |
Casa editrice: | Feltrinelli |
Prezzo: | € 11,00 |
Pagine: | 128 |
Mi dedicai agli esercizi di calligrafia per consolare la mia mano offerta precipitosamente. L’io che parla qui è quello di Rikkat Kunt. Una donna, turca, musulmana, che vive a cavallo del periodo in cui la Turchia viene laicizzata da Atatürk. Dunque, nel momento in cui la lingua turca inizia ad essere scritta con un alfabeto latino, e la professione stessa di calligrafo diventa marginale. Nella storia l’aspetto politico arriva principalmente come eco. L’aspetto dominante è la vicenda umana di Rikkat, i suoi infelici matrimoni. Il primo, senza scelta, con un dentista, uomo col quale non le è possibile alcuna condivisione umana. Il secondo, con un albanese logorroico ed egocentrico. Quel che più le resta, di entrambi, è un rapporto stretto, fortissimo, davvero di sangue, con i figli, in particolare con Nour, avuto dal secondo marito.
Sotto a questa amara vicenda privata si dipana il filo conduttore della passione assoluta, carnale, per la scrittura. Non per la narrazione, per i segni. C’è una descrizione intensa dei gesti, non da manuale tecnico: sono quasi rituali religiosi. Anche perché calligrafia, nel mondo musulmano che non può rappresentare la figura umana, significa scrivere la parola di Dio. C’è una adesione sacra, un altissimo livello di consapevolezza emotiva nel fare, nei materiali, nei procedimenti. La parola tracciata sembra essere dotata di una vita indipendente: ho visto l’inchiostro stendersi, anticipare gli ordini.
La lingua utilizzata per raccontare tutto questo è solo apparentemente distaccata. Occorre prima di tutto tenere presente che la prospettiva della narrazione è in tutti i sensi estrema: un io che inizia a parlare nel momento del suo funerale. Da qui dunque in parte questa pacificata densità, lo sguardo filtrato, l’assenza di aggettivazione ridondante. L’emozione è ricostruita attraverso la misura, l’esattezza.
Il legame tra il terreno e l’ultraterreno non è solo dato dalla scelta di questo punto di vista: percorre tutto il libro. La vita di Rikkat è intessuta di presenze, di dialoghi e segni per esempio con calligrafi scomparsi. Le cose sono animate, allo stesso modo in cui la calligrafia non è semplicemente segno, ma materializzazione dello spirito: il sangue dei calligrafi è diverso da quello degli altri esseri umani, diventa scuro a contatto con l’inchiostro, le loro ferite si asciugano più in fretta. I calligrafi scrivono dentro se stessi e offrono poi una visione parziale della loro carne annerita dall’alfabeto. Si dice siano molto chiusi; sono semplicemente pudichi e restii a rivelare la loro anatomia. La parola dell’Altissimo non è scritta mai abbastanza bene. Essi devono morire per udire la sua voce indecifrabile e le sue parole intraducibili.
di Stefano Mola