La Rusalka di Carsen
Gennaio 25, 2007 in Spettacoli da Stefano Mola
INTRO
Considerazioni e analisi a briglia sciolta sullo spettacolo in scena al Regio fino al 4 Febbraio. Partiamo da alcune divagazioni sulla vicenda, che nella sua interezza potete trovare riassunta qui.
Le storie d’amore nascono dalle o nascondono delle rinunce? Rusalka può realizzare il suo sogno d’amore soltanto abbandonando l’acqua, scambiando la sua voce per un corpo e un’anima. Sapendo di non poter tornare indietro. Nello slancio primario e irrazionale del desiderio che ci porta al di fuori di noi, nulla pare avere importanza paragonabile al raggiungimento dell’amato/a. Rusalka, dunque, non esita. Né esita il principe: conquistato, decide che il linguaggio dei baci è sufficiente a compensare quello della parola. Eppure, Rusalka non riesce del tutto ad abbandonarsi alla passione. È uscita dall’acqua, ma di quell’elemento non porta con sé il simbolo di vita, ma quello della freddezza (l’acqua è la vita, ma nell’acqua si annega, nell’acqua si prende freddo). Il Principe si rivela essere (come tanti uomini dell’opera) puro impulso e capriccio. Appena vede la Principessa Straniera, parlante, passionale, rabbiosa, cambia la sua traiettoria. Entrambi, restando a metà, non vanno da nessuna parte. Due domande: se una rinuncia c’è, se è parte dell’amore, bisogna percorrerla fino in fondo? Senza un livello importante di comunicazione l’amore non si consolida? Lascinadoci così, con queste domande epocali, passiamo a raccontare che cosa ha fatto Robert Carsen di questo spettacolo.
ATTO PRIMO
Da un breve esame della trama, Rusalka è una storia di fratture non risolte, di mondi opposti che non si vengono incontro. Questa dimensione scissa nella regia di Carsen è sempre presente. In ognuno dei tre atti, c’è qualcosa nel palco che suggerisce una divisione. Nel primo atto, per esempio, possiamo pensare: siamo sul fondo del lago. O di una piscina. A mezza altezza, dei letti e delle sedie sembrano segnare una superficie. Se fosse davvero così, dovremmo vedere il letto da sotto. In realtà, più che una superficie, viene definito un piano di simmetria: il letto ha un suo doppio, al di sotto del piano. Ci sono due mondi divisi, eppure eguali. Il mondo di Rusalka e quello degli uomini sono dunque uguali? La lettura della vicenda sembrerebbe suggerire proprio questo: sono diversi, eppure accomunati dalla stessa incompiutezza. Tra le invenzioni più affascinanti del primo atto, la presenza di una piscina d’acqua bassa tanto che i personaggi ci possono tranquillamente camminare dentro: quando i personaggi la attraversano, e la smuovono, le luci ne riflettono il riverbero sulle pareti. Costumi in un certo senso atemporali: donne in tunica bianca, uomini in cappotto e vestito borghese. Così come anonimamente spoglia e borghese la camera da letto dove il principe e Rusalka si incontrano. La camera da letto sembra comunque simboleggiare una apparente possibilità di incontro.
ATTO SECONDO
Nel secondo atto cosa succede? Il principe è perplesso di fronte alla freddezza di Rusalka, che non riesce ad abbandonarsi alla passione. Soprattutto, compare in scena la Principessa Straniera. Il principe non ci mette molto a farsi travolgere dalla sua passionalità rabbiosa. La principessa è quindi un doppio di Rusalka, il suo doppio passionale. La scelta di Carsen, ancora una volta funzionale, è ancora di dividere la scena in due. Il piano di simmetria questa volta è verticale. Siamo in una doppia camera da letto. Due letti, due porte. Lo sguattero e il guardiacaccia hanno anch’essi ciascuno un doppio, che ne replica i movimenti. La comparsa in scena della principessa straniera si carica così di una notevole crudeltà: lei e il principe sono già in camera da letto, in quella di sinistra, a due passi dal consumare, mentre Rusalka, sola, è in quella identica, di destra, e vede tutto. Vede il principe cedere in pochi secondi. Uno dei momenti più belli, esteticamente, è il balletto che segue l’uscita di scena del Principe e della Principessa Straniera. Coppie di ballerini illuminati da una luce bianca si allacciano, dapprima in quella che potrebbe essere una danza popolare di corteggiamento, per terminare in una frenesia d’amore. E Rusalka, immobile, estranea, esclusa, distesa su uno dei due letti. L’atto non può che terminare in un solo modo: con le due metà della scena che si allontanano, sparendo a destra e a sinistra, e Rusalka sola al centro del palco, davanti al nero fondale che le si spalanca alle spalle.
ATTO TERZO
Rusalka è tornata, senza pace, nel fondo delle acque. Cosa fa Carsen? Stende davanti alla scena una specie di garza blu, su cui scorrono immagini di acqua in movimento. Giusto, per due motivi. Barriera impalpabile e drammatica tra Rusalka e il mondo. Superficie che suggerisce una nuova lettura geometrica dello spazio. Verticale, da noi che guardiamo verso il fondale della scena. Il velo è la superficie dell’acqua, il fondale della scena è il fondo del lago. Quindi, quando compare la strega, il piano su cui lei giace, a letto, è perpendicolare al palco. Normalmente dovremmo dire: è in alto. Ora invece pensiamo: è in fondo. Quando alla fine torna il principe, si ricompone quella camera da letto asetticamente anonima che abbiamo già incontrato. Un ambiente che nemmeno ora può ospitare un atto di passione, ma solo di morte.
CONCLUSIONI
Avevo dei dubbi su Robert Carsen, dopo le polemiche seguite al suo recente Candide parigino. Temevo di trovarmi davanti a provocazioni sterili. Francamente, non posso che fare ammenda di queste mie perplessità e applaudire. Esteticamente e simbolicamente, lo spettacolo mi è piaciuto molto. Ho trovato le scelte perfettamente funzionali. Venendo alla parte musicale, energica e appassionata la direzione di Gianandrea Noseda. Vocalmente ottima la dolente Rusalka di Svetla Vassileva, il cui unico neo è forse solo una certa rigidità ripetitiva nei molti movimenti di scena muti che la parte richiede. Decisamente convincente, per sicurezza, timbro e bellezza vocale, il Principe di Miro Dvorsky. Perfettamente nella parte la strega Ježibaba del contralto russo Larissa Diadkova, e buona prova sia di Franz Hawlata (lo spirito dell’acqua) e Patrizia Orciani (la principessa straniera).
Le foto sono di Ramella&Giannese, copyright Fondazione Teatro Regio Torino
di Stefano Mola