La velocità di Eggers
Novembre 24, 2003 in Libri da Stefano Mola
Dave Eggers, “Conoscerete la nostra velocità”, Mondadori, pp. 388, Euro 18,00
I libri sono (anche) degli oggetti. Trascurare la loro essenza materiale è sbagliato. In tutto questo c’è anche una certa dose di malattia. Si può stare male se la copertina dell’edizione economica de “Il profumo” fa schifo? Se rispondiamo si, forse c’è del patologico (io a questa domanda rispondo si, per esempio). A quelli che sono fatti così, può capitare di avvicinarsi a un libro solamente per come appare in quanto oggetto. Ovvero, parafrasando Moretti, “le copertine sono importanti”.
Nel caso di “Conoscerete la nostra velocità”, è stato così. Guardate la foto della copertina. Il libro inizia proprio da lì. Le parole che vedete scritte non sono commenti, pubblicità o altro. Sono le prime frasi del romanzo, che continua del resto nella seconda di copertina e così via. Lascio spazio ai vostri pensieri su quanto sia facile accalappiare allodole con quello che potremmo chiamare “packaging” (per inciso, non è merito della Mondadori: navigando in internet si può verificare che la prima edizione americana è fatta allo stesso modo).
Che cosa racconta questo libro? La storia di un tentativo di viaggio attorno al mondo in soli sette giorni di due giovani americani, Will e Hand. Will ha un mucchio di soldi (più di 30.000 $). Li ha guadagnati diventando uomo immagine per una campagna pubblicitaria di lampadine. Will è oppresso dal peso di tutto questo denaro, ma soprattutto dalla scomparsa prematura di Jack, con cui ha condiviso tutto fin dall’infanzia insieme a Will. Nel mondo della presunta illimitata libertà di spostamento, si scontrano fin da subito con i vincoli degli orari e degli scali. Prendono (ingenuamente) coscienza del fatto che dati due punti a caso nel mondo, non è scontato che ci sia un filo di compagnia aerea che li congiunga senza dover necessariamente passare per un terzo punto, con inevitabili perdite di tempo e cambiamenti di destinazione.
Il libro è quindi il resoconto tragicomico delle loro peripezie, dei loro incontri “strani”. E c’è una finalità. Non si tratta soltanto di mettere i piedi sulla terra di cinque continenti diversi e poi tornare indietro. Scopo del viaggio è liberarsi di questa montagna incombente di soldi regalandoli alla povera gente che incontrano. Ma anche qui ci sono dei vincoli. Il regalo deve essere quanto più possibile libero, non richiesto, spontaneo. I soldi non sono dati a chi accattona, ma la consegna deve quanto più possibile assomigliare a una specie di dono angelico e gratuito. Un atto cui comunque si accompagna sempre un malcelato senso di colpa per la differenza abissale che sempre si rivela tra primo e terzo mondo, e per la difficoltà di realizzare questo gesto in tutta la sua perfezione immaginata.
La narrazione è condotta dal punto di vista interno alla testa di Will. Quindi i mille e più eventi e personaggi assurdi, strampalati, o a volte anche solo romanticamente ironici che coinvolgono i due sono intervallati dai soliloqui di Will, primi fra tutti quelli che hanno a che fare più o meno direttamente con la scomparsa di Jack.
Pensando a come definire lo sguardo sulle cose proprio del libro, mi è venuto in mente “Il giovane Holden”. Per la disadattata ingenuità, prima di tutto. Will è sicuramente alla ricerca di un suo posto nel mondo, e il sentimento di questa distanza tra le cose come sono e come dovrebbero non conduce a un esito socialmente tragico. Per capirci, la contestazione è poetica, molto prima che politica. Se questa dimensione esiste, è quasi casuale, al più per constatazione riflessa. La distribuzione dei soldi non ha nessun aspetto no global. Questo sia detto come dato di fatto e non come critica al libro (mica è necessario scrivere libri no global). In altre parole, ci si aspetta sempre che i due si chiedano dove vanno a finire le anatre quando i laghetti si ghiacciano. Non c’è la mitica sorellina di Holden, ma ci sono due gemelle che marginalmente possono rivestire lo stesso ruolo.
Con la differenza sostanziale che nel romanzo di Salinger Holden consuma la sua avventura in pochi giorni e con pochissimi soldi in tasca. Qui c’è moltissimo tempo, spazio e denaro. E pagine, anche. Un conto è reggere un romanzo di poco più che cento pagine. Un conto è dominare un transatlantico di 388 pagine (stampate fitte).
Una volta capito il meccanismo, che sommariamente potremmo definire così: andare in giro per il mondo alla ricerca di un gesto perfetto e umano per liberarsi di soldi guadagnati in maniera assurda e contemporaneamente sopravvivere alla scomparsa del proprio migliore amico cercando di non impazzire si genera un certo effetto di ripetizione. Il gusto di fondo è che non si può reggere un libro così imponente soltanto narrando episodi tragicomici e inverosimili che rispondono tutti allo stesso schema. Non c’è evoluzione dei personaggi. Anche perché il peso del libro è tutto sulle spalle di Will. Hand è una specie di bel ragazzo che attrae le donne. Ha immagazzinato una serie sterminata di nozioni, che gli permette di essere soprattutto un generatore perfetto di discussioni sui più strampalati argomenti. Al di là di questo, non molto. Solo raramente e vagamente esce da questa dimensione maniacale per accorgersi del dramma di Will.
Si ha un po’ la sensazione che si cambiasse l’ordine dei capitoli il prodotto finale non sarebbe molto diverso. Nel giovane Holden c’è un’aderenza perfetta tra sguardo, materia narrata, misura. Qui, spesso si gira a vuoto. C’è un gusto, che sembra tipico della narrativa americana contemporanea, per l’eccentricità, per le storie strane. Non che sia sbagliato: come in tutte le cose, occorre la giusta misura. Tuttavia ci sono molti episodi del libro in cui si ammira la capacità di scrittura di Dave Eggers. Ci sono molti passi ricchi di poeticità per nulla stucchevole, e una notevole precisione nella definizione di sensazioni ed emozioni.
di Stefano Mola