La Via Crucis con approfondimenti storici
Luglio 4, 2007 in Spettacoli da Redazione
La tradizione della Via Crucis presenta radici molti antiche. La genesi della sua codificazione ha avuto una lunga gestazione, in contesti e tempi diversi. Scopriamola insieme
La Via Crucis è stata una forma di devozione popolare sin dall’antichità.
Quanto si può ritrovare di questo, ancora oggi, nella Passione di Antignano?
La tradizione della Via Crucis presenta radici molti antiche. La genesi della sua codificazione ha avuto una lunga gestazione, in contesti e tempi diversi.
Tuttavia, il primo personaggio centrale della Via Crucis non è stato Gesù, ma Maria. Una pia leggenda medievale leggeva, infatti, l’inizio della ripetizione dell’iter della via dolorosa non dal percorso di Cristo, ma dal pellegrinaggio quotidiano della Vergine nei luoghi della passione del figlio. Così è nel racconto apocrifo siriano De transitu Mariae del V secolo e in un adattamento dello stesso racconto pubblicato da Tischendorff nel 1866 nelle Apocalypses apocryphae. In queste narrazioni i luoghi deputati erano però solo il Sepolcro e il Calvario.
Inoltre, una delle prime narrazioni della passione di Cristo (il Christus Patiens di S. Gregorio Nazianzeno del IV secolo) presentava proprio Maria nell’atto di raccontare in monologo tutte le sofferenze di Gesù. E quando Jacopone da Todi decise di raccontare la passione di Cristo in una lauda, scelse anche lui Maria e scrisse Donna de Paradiso.
A parte questi eventi letterari, la Via Crucis ebbe sempre come luogo di partenza proprio Gerusalemme, presa di continuo come modello. Nei primi secoli del cristianesimo, il contesto gerosolimitano era davvero sentito come meta di pellegrinaggio, valido solo se visto di persona, solcato con i propri piedi. Erano ancora lontani i tempi in cui in Europa si sarebbe tentato di rifare una Gerusalemme in ogni comune o villaggio, durante la Settimana Santa.
Nel IV secolo, una viaggiatrice, la cui identità è comunemente identificata con Egeria, scrisse in latino un Itinerarium nel quale narrava il suo pellegrinaggio in Terra Santa. Il sacro percorso era finalizzato al raggiungimento dei luoghi della passione presso Gerusalemme, e il conseguente ritiro di preghiera per tutti i giorni antecedenti alla Pasqua. Egeria riferisce che già diversi luoghi erano indicati come quelli della sofferenza di Cristo e andavano percorsi secondo la narrazione dei Vangeli. Inoltre fornisce la descrizione delle basiliche dell’Anastasis (Santo Sepolcro) e del Martyrium (Calvario).
Diversi secoli dopo, invece, Sewulfo, che visitò Gerusalemme nei primi anni del 1100 riferisce che esistevano tante cappelle quanto ogni passaggio della Passione. E quindi quella della prigione (dove Cristo fu rinchiuso in attesa della crocifissione), quella del ritrovamento della Croce (collegata all’episodio di Sant’Elena), della colonna della flagellazione, degli insulti, della vestizione del manto di porpora, dell’incoronazione di spine, del buco in cui fu conficcata la croce, e infine quella dell’unzione, dove Cristo fu cosparso di aromi dopo la deposizione. Un numero consistente dunque, che al pellegrino servivano come momenti di meditazione e preghiera. Ma era pur sempre di Gerusalemme che si parlava.
Ben presto, invece, l’esportazione del modello della Città Santa divenne un’operazione tipica in tutta Europa. Nel farlo si raggiunsero livelli di meticolosità impressionanti. Esistevano dei compendi, infatti, che riportavano il numero di passi preciso fra un luogo e l’altro o se non altro la distanza esatta. Nell’esasperazione dei numeri si giunse a contare la serie di cadute di Cristo con la croce, con valori mai fissi che variavano di volta in volta.
Fra il XIII e il XIV secolo la devozione della passione di Cristo assunse così caratteri estremamente realistici sia nelle descrizioni sia nelle visioni dei mistici. Nelle loro estasi essi arrivarono a contare, oltre alle cadute e agli spostamenti, persino il numero di colpi della flagellazione, le ferite e le piaghe, le effusioni di sangue, le lacrime versate, il numero delle gocce di sangue.
Per ciò che riguarda le cadute, in epoca medioevale si distinsero due gruppi: quelle di tutta la passione e quelle che riguardavano la Via Crucis propriamente detta. Nel primo caso si potevano raggiungere anche cifre consistenti e non canoniche (quando invece le classiche ora sono tre per quattordici stazioni). Nel 1490 un pellegrino tedesco di nome Martin Ketzel nel suo diario riuscì ad annotare ben 7 cadute, laddove per settima caduta s’intendeva lo scivolamento della croce nella buca preparata precedentemente. Ma il campionario era assolutamente variabile. Ritornavano spesso gli stessi numeri nelle cadute, fra cui 5, 15 e soprattutto 7, ma gli episodi collegati erano vari e mutevoli.
Un elemento interessante è che le stazioni e le cadute finivano quasi sempre per essere collegate a riferimenti architettonici (cappelle, ma anche sculture, bassorilievi, disegni, ecc.) la cui distanza, ovviamente, era esattamente quella esistente a Gerusalemme. E questo soprattutto in Germania e in Francia.
Adrichomius (vero nome Christian Adrian Cruys, morto nel 1585) nel suo Jerusalem sicut Christi tempore floruit e Theatrum Terrae Sanctae fece finalmente un’importante distinzione. Divise la Via Crucis in due vie dolorose ben precise, ovvero la Via Captivitatis (dal Getsemani a Pilato) e la Via Crucis vera e propria, con partenza dalla casa di Pilato, fino all’erezione della croce, in dodici stazioni. Questo testo si può considerare un punto fermo nella storia dell’evoluzione della Via Crucis, anche se mancavano ancora le ultime due stazioni: la deposizione e la sepoltura.
Dallo schema di Adrichomius si poté infatti storicamente passare alla Via Crucis definitiva in quattordici stazioni, che si sviluppò in Spagna e poi nel resto dell’Europa all’inizio del XVII secolo. Il modello ebbe molto successo e sopravvisse senza ulteriori e sostanziali modifiche fino ai giorni nostri, talvolta modificandosi in Passione di Cristo e talvolta no, a seconda del contesto in cui era inserita. La Via Crucis era infatti sentita come molto vicina alla chiesa, mentre la Passione di meno (molto più laica, con attori, un copione, scenografie, ecc.). La sua aderenza divenne definitiva quando, dalla metà del 1600, Roma concesse di celebrarla con speciali benefici e indulgenze per chi la seguiva.
La codificazione della Via Crucis ebbe dunque un lungo e travagliato avvicendarsi. La materia permetteva aggiunte locali ed espressioni popolari, anche distanti dalle linee canoniche, cosicché la preparazione della sua rappresentazione avveniva o per complicazione o per semplificazione.
La Via Crucis lunga, così come in Antignano, che ha inizio dall’Ultima Cena fino alla Sepoltura, ebbe notevole successo tra la seconda metà del XVII secolo e la prima metà del XVIII secolo. Pare che lo spunto per questo tipo di rappresentazione sia stato un libretto di P. Adrien Parvilliers che nel 1630 scrisse Les stations de Jérusalem pour servir d’entretien sur la passion de N.S.J.C. Il volumetto era uno di quei compendi, utilizzati dagli ecclesiastici, che spiegavano il modo di svolgere la Via Crucis. Il successo fu immediato e fu stampato in breve tempo in tedesco, inglese, bretone, spagnolo, olandese e polacco (più le 53 edizioni francesi). 18 le stazioni narrate, fra cui anche una nel fiume Cedron (nel quale Gesù fu gettato dai giudei durante la cattura) e un’altra con l’incontro fra Maria e Gesù nelle strade di Gerusalemme. Le stazioni erano tantissime, e nessuno oggi si sognerebbe mai di attuarle tutte (sono presenti, però, ad esempio, nel film di Mel Gibson), tanto più che le canoniche sono appunto 14.
Secondo un principio zenitale, va tuttavia subito detto che la Via Crucis di Antignano non è in realtà una Vi
a Crucis. È una Passione di Cristo. Era “via dolorosa” nel 1988, quando è stata recitata per la prima volta, ma le successive aggiunte l’hanno resa diversa dall’intenzione originale. Oltretutto in Antignano sono presenti 11 stazioni e non 14. La storia dell’evoluzione della Via Crucis/Passione di Antignano, con le sue successive complicazioni e i suoi ampliamenti, è in grado di farci leggere in filigrana una storia più ampia, che è quella dell’evoluzione della Via Crucis in generale. Entrambe le storie condividono la comprensione che il mistero della passione non è risolvibile solo nella rappresentazione del percorso con la croce, ma che per essere rappresentato ha bisogno di altri momenti. Le aggiunte non sono perciò mai da considerare semplice manierismo stilistico, sfarzo qualora si possa, od indice d’insoddisfazione, ma lo sforzo di avvicinarsi al mistero divino. Secondo questa lettura, la Via Crucis richiede di essere letta alla luce dell’episodio dell’Ultima Cena, della centralissima scena dell’Agonia nel Getsemani, del silenzio di Cristo nella varie fasi del processo. È un meccanismo anche storico, e non poteva non coinvolgere la rappresentazione di Antignano.
Beninteso, quello descritto è un fenomeno moderno diverso dalla ri-attualizzazione di forme espressive dell’arte popolare. Molti critici insistono molto su questo punto, sulla ripresa di ciò che si pensava perduto, ma in questo modo è impossibile comprendere ciò che, ad esempio, succede ogni anno ad Antignano. Nel caso di riproposta di antiche tradizioni (come nel caso della passione di Sordevolo) è necessario riprendere un testo più o meno antico, condividere con esso l’errore filologico, accettarlo ipso facto anteponendogli l’importanza di un’usanza. Nel caso della Via Crucis di Antignano, invece, è il sentimento eucaristico che si vuole recuperare, non un testo in particolare. In questo modo si crea una nuova tradizione.
In questo senso, diviene anche utile evitare la dispersione di uno spettacolo troppo lungo o l’accumulo di episodi e particolari che rischierebbero di spostare l’attenzione dalla centralità della figura di Cristo. Così in Antignano sono elegantemente non risolti episodi come la flagellazione, complessa e rischiosa, fuorviante (si pensi al valore che ha assunto nel film di Gibson), la celebre trafila da Pilato ad Erode, il rinnegamento di Pietro, l’impiccagione di Giuda, la crocifissione dei due ladroni. Tutti elementi tanto cari alla tradizione popolare.
La narrazione segue gli spostamenti di Gesù e solo quelli, non divaga, costruisce pezzo dopo pezzo la passione di Cristo, fino alla risultante di quell’unica Croce al centro della scena. Come in un punto di fuga, nella Croce convergono tutte le prospettive: la solitudine di Cristo è molto più accentuata nella via Crucis di Antignano che altrove, con tutto il suo carico di valenze espressive e teologiche. La passione di Cristo è intesa nella sua purezza, così da restituire al sacrificio la sua caratteristica stupefacente. In questo modo la regia di Franco Orecchia è riuscita a recuperare il senso di stupore originario che devono aver provato i discepoli di Cristo e, con loro, chi all’epoca ha osservato la crocifissione.
Un altro personaggio, tuttavia, soffre la Via Crucis con un’intensità superiore a quella di tutti gli altri, ed è Maria. Il riferimento drammatico non è solo patemico, utile a sottolineare lo strazio di un uomo e di un figlio che sceglie liberamente di soffrire, ma anche teologico e storico.
Bibliografia:
Amédée da Zedelgem, Saggio storico sulla devozione alla Via Crucis, Casale Monferrato, Atlas, 2004.
Bernardi, C., La drammaturgia della Settimana Santa, Milano, Vita e Pensiero, 1991.
Craveri, M., I Vangeli apocrifi, Torino, Einaudi, 1990.
Egeria, Pellegrinaggio in Terra Santa, Roma, Città Nuova, 2000.
Grimaldi, P., Tempi grassi, tempi magri. Percorsi etnografici, Torino, Omega, 1996.
Neri, F., Per la storia del Dramma sacro in Piemonte, in “Annali dell’Istituto di Magistero del Piemonte”, II, Torino, Casa Editrice Giovanni Chiantore (successore Ermanno Loescher), 1928.
La Via Crucis di Antignano. Presentazione
Questionario sulla Passione di Antignano
di Davide Greco