La via dei lupi
Luglio 8, 2002 in Libri da Stefano Mola
Carlo Grande, “La via dei lupi”, Ponte Alle Grazie, pp. 213, Euro 12,00
Tra le altre cose, scrivere significa raccontare delle storie. Lascerei la parola a Peter Brooks: “La narrativa è una delle grandi categorie o sistemi di comprensione a cui ricorriamo nei nostri negoziati con il reale, e in particolare coi problemi della temporalità: i condizionamenti che l’uomo subisce da parte del tempo, la sua coscienza di esistere solo entro i limiti precisi fissati dalla morte. E le trame sono le principali forze ordinatrici di quei significati che cerchiamo, attraverso una vera e propria battaglia, di strappare al tempo.” (“Trame”, Einaudi, 1995).
Poiché abbiamo a che fare con il tempo (la storia è un’organizzazione del tempo) possiamo anche andare a cercare le storie nella Storia, aprendo immediatamente una eco tra il passato e il presente. Una eco che tra i due tempi stende un filo, fa voltare il capo all’indietro per poi riportare lo sguardo al presente con un filtro nuovo (i protagonisti delle storie sono donne e uomini e le loro passioni, che a distanza di secoli possono cambiare o restare uguali). Oppure lo sguardo dagli uomini si può spostare ai paesaggi che abitiamo adesso per chiederci come dovevano apparire, come potevano essere vissuti, in rapporto a come li vediamo e li viviamo oggi.
Prima che iniziate a pensare di aver sbagliato articolo, confermo che qui si parla del primo romanzo di Carlo Grande (su queste pagine abbiamo l’anno scorso recensito la raccolta di racconti “I cattivi elementi” , e potete rileggervi l’intervista che ci aveva concesso). Ne “La via dei lupi”, Grande ci racconta la storia (vera) di François di Bardonecchia, nobile di montagna, fedele al Delfino, Guigo III, con dignità e orgoglio, senza esserne succube. Ma un giorno Guigo seduce e rapisce la figlia di François. Sconvolto, François tradisce: raggiunge a Chambéry l´antagonista di Guigo, Aimone di Savoia, svelandogli importanti segreti militari. Aimone non scenderà mai a dar manforte al ribelle, lo abbandonerà al suo destino e a François non resterà che darsi alla macchia.
Credo che non sia difficile sentire l’eco. Potenti infidi, dalla doppia parola, lussuriosi. Una piccola “nazione” stretta tra due stati più grandi e giocata come moneta di scambio dallo scarso valore. Lasciamo al lettore di annodare i capi dei fili che penzolano da questo passato al nostro presente. Grande ci offre da un lato la storia di un uomo orgoglioso, che non cede a compromessi e che ne paga tutte le conseguenze, ridotto a vivere tra i boschi fino a confondersi coi lupi, qui simbolo di ribellione, del coraggio, dei perseguitati. Dall’altro, ci racconta la Storia delle nostre valli nel 1300: la Val Susa, in primo luogo (anche adesso stretta tra e devastata da interessi più grandi di lei…).
E infine (ed è questo uno dei maggiori pregi del libro) ci racconta il paesaggio di queste valli e di queste montagne, lasciando trasparire una grandissima passione. Cediamo la parola a un personaggio minore, Fredo di Ostana: “Ascolta, Francois […] L’altro ieri, appena sveglio, pioveva. Ieri nevicava, sono uscito sulla loggia ad accarezzare il gatto e a guardare il torrente sotto di me, gli scheletri dei frassini, la terra a chiazze, la traccia dove passano i caprioli, i muretti dei campi. Di fronte vedevo le montagne, nascoste da un velo di nebbia – più spessa, meno spessa – che comparivano e scomparivano. E sentivo che mi piaceva, che era bello m che il buon dio ha ben costruito. Altrove, non so, forse il mio sguardo sarebbe più superficiale. Sentirei le voci, lontane, troppo lontane. E forse rimarrei senza guida.” (pag. 168).
Lo Chaberton, il Colle della Scala, il Bosco del Melezet, Castelponte, Exilles, il Monviso sono altrettanti personaggi che emergono con forza da queste pagine. Viene voglia di scoprire o riscoprire, mettere gli scarponcini, partire a piedi. E ancora, la descrizione della vita del villaggio di Rochemolles in inverno, nel capitolo VIII, le veglie dei montanari nelle stalle. Qui sta probabilmente il segno della continuità tra “I cattivi elementi” e “La via dei lupi”: nello sguardo “ecologico”, nell’attenzione all’interazione tra l’uomo e il paesaggio che lo circonda.
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Carlo Grande parla de “La via dei lupi” su Infinitestorie
di Stefano Mola