L’avaro secondo Fasella
Novembre 29, 2006 in Spettacoli da Roberto Canavesi
TORINO – “L’avaro”, ovvero la dolce musica del nobil danaro, fu scritto da Carlo Goldoni nel 1756 per la Compagnia del nobile Francesco Albergati Capacelli che, per puro diletto, era solito recitare con amici o le lussuose ville patrizie del tempo: un testo minore, all’interno dello sconfinato corpus goldoniano, che in questi giorni rivive a Torino nel nuovo allestimento proposto al Teatro Erba dalla Compagnia Torino Spettacoli.
Spettacolo vivace e brioso, quello interpretato e diretto da Enrico Fasella, per una vicenda che ha per oggetto del contendere l’agognata dote di Donna Eugenia, giovane vedova e nuora dell’avaro Don Ambrogio: denaro verso cui rivolgono l’attenzione i tre aspiranti della giovane, l’ossequioso cavaliere, il sentimentale Don Ferdinando e l’istrionico Conte. Nell’ambientare l’azione su di un palco che tanto ricorda gli spazi cari ai comici dell’arte, Fasella crea un trait d’union tra le due diverse concezioni teatrali che hanno animato la “riforma” goldoniana all’interno di una trasformazione della scena italiana ben individuabile nella figura di un Don Ambrogio-Pantalone dedito alla strenua difesa della dote della giovane nuora. Ad impreziosire il tutto le sequenze cantate dal vivo sulle musiche originali di Bruno Coli per un allestimento divertente e di impatto, dove tradizione e innovazione si integrano alla meglio regalando momenti di un gustoso divertimento fondato sull’equivoco e sul rispetto del tempo comico: non mancano, ovviamente, i ritratti grotteschi ed ironici di una nobiltà verso cui Goldoni non ha mai risparmiato i propri strali polemici.
Merito indiscusso del buon esito dell’operazione è di un affiatato cast che, oltre allo stesso Fasella nei panni di Don Ambrogio, annovera gli applauditi Luciano Caratto, Federica Crisà, Marco Manzini e Carmelo Cancemi, divertenti e divertiti protagonisti di una bella pagina di teatro.
Si replica al Teatro Erba fino a domenica 3 dicembre.
Torino, Teatro Erba, fino a domenica 3 dicembre 2006.
di Roberto Canavesi