Le biciclette di Amsterdam
Marzo 23, 2007 in Viaggi e Turismo da Stefano Mola
Nelle nostre strade, in cima alla catena alimentare regnano incontrastate le automobili e assimilati. Mangiano tutto lo spazio per il movimento, talora debordando sopra i marciapiedi per ruminare sulla loro bulimia. Ad Amsterdam, è diverso. Sarà perché laggiù la superficie del mondo è una sfumatura intermedia tra la terra e l’acqua, in un inestricabile miscuglio contaminato che rende i confini incerti. Quattro sono le razze che abitano la parte più solida: le biciclette, i pedoni, le auto, i tram. Per quel che si può capire nella frequentazione d’un giorno, non c’è un padrone preciso, né una limitazione inequivocabile. Inizialmente, come pedoni, si prova una sensazione di libertà. Le macchine sono poche, e del tutto timide. Sembra di poter lasciare i propri passi seguire l’ispirazione, dietro un soffio che sa di trasgressione. Camminare nella sede stradale, invece che nella riserva indiana del marciapiede, sembra un sogno che regala allo sguardo nuove prospettive. Poco a poco, si capisce con sorpresa che un pericolo esiste, del tutto inaspettato. Qualcosa come le popolazioni del Nuovo Mondo sterminate dal morbillo. Le biciclette. In assenza di predatori naturali, sono come i Velociraptor in Jurassic Park. Velocissime, silenziose, infide, spietate. Seguono traiettorie guizzanti evitando di segnalare svolte. Regalano sguardi intolleranti se qualcuno come me che non ha ancora ben capito la legge che regola lo spazio viola dei confini invisibili. Sarebbe interessante conoscere i dati statistici sul numero di turisti che ogni anno viene incidentato dalle biciclette locali.
Un episodio può aiutare a comprendere quale percorso evolutivo (in senso darwiniano) sia stato seguito dalle biciclette olandesi. A un certo punto, ne ho affittata una (freno col contropedale). Sono fermo a un semaforo dedicato (il rosso e il verde sono per l’appunto una bicicletta rossa e una verde). Scatta il verde. Esito. Dietro di me, impaziente, metallicamente aggressivo, un campanello mi sprona ad uscire dalla mia dimensione di flaneur. Come a un normale semaforo nel normale traffico di una normale città italiana. Solo che qui, siamo in bici. In questo strano universo, i più tristi devono essere i tram. Gli unici vincolati a delle traiettorie eternamente prefissate. Chissà come invidiano lo sfrecciare superbo e anarchico dello biciraptor. Che poi sono parcheggiate dappertutto e nelle maniere più fantasiose. Per andare al Museo Van Gogh, ci ho messo un attimo per trovare una cancellata cui legare la mia.
A parte tutto, è bello vedere al mattino la vita normale andare al lavoro e a scuola in bicicletta. I bambini, soprattutto quelli che paiono appena appena capaci di poggiare i piedi a terra, e che avanzano pedalando seri e concentrati, sono bellissimi.
Amsterdam. Città visitata il 12/03/2007.
di Stefano Mola