Letteratura e cinema: una miscela ad alta densità
Maggio 23, 2004 in 006 da Redazione
(D.Procacci)
Nato nel 1960 a Bari, Procacci inizia la sua carriera di produttore a ventisette anni, nel 1987, con Il grande Blek di Giuseppe Piccioni, ambientato tra un gruppo di ragazzi alla fine degli anni sessanta. Nel 1990 produce “La stazione”, l’esordio alla regia dell’allora sconosciuto Sergio Rubini. Il film ottiene un altissimo riconoscimento critico e ha un buon riconoscimento nelle sale . E’ in questi anni che fonda anche la Fandango, la sua casa di produzione che è ormai diventato un marchio riconosciuto e apprezzato. Nel 1993 Procacci si avventura coraggiosamente all’estero producendo Bad Boy Bubby dell’australiano Rolf de Heer. Il film è particolarmente duro e difficile, ma diventa la piccola sorpresa di quella stagione cinematografica, facendo per la prima volta parlare la stampa di questo giovane produttore italiano che va ad investire fino all’altro capo del mondo guadagnandoci pure. Il 1998 è un anno importante: produce infatti “Radiofreccia” di Luciano Ligabue ed “Ecco fatto”, il film d’esordio di Gabriele Muccino. Il film del cantante emiliano diventa uno dei campioni di incasso della stagione e, fino a quel punto, il più grande successo commerciale di Procacci. Il film di Muccino passa invece quasi innoservato, ma è li che nasce la collaborazione che porterà a “L’ultimo bacio”. Domenico Procacci rappresenta un elemento atipico nel panorama italiano. Per un Cecchi Gori che scompare c’è un Procacci che emerge.
FANDANGO? DALLA PELLICOLA ALLA CARTA… E ADESSO?
CI FACCIAMO RACCONTARE DA PROCACCI IL SUO TUMULTUOSO MONDO…
Com’è nata la casa editrice?
La Fandango Libri è nata circa cinque anni fa ormai. La Fandango che fa cinema invece esiste da quindici anni, essendo nata nel ’99. Erano quindi dieci anni che lavoravo come produttore e mi era capitato già molte volte di leggere libri pubblicati in altre nazioni che probabilmente non sarebbero poi stati mai tradotti in Italia.
In particolare mi capitò fra le mani quello che è diventato il nostro primo titolo: “La maschera di scimmia” di Dorothy Porter ,un romanzo in versi che mi è stato dato da un produttore australiano. Lui non aveva ancora un copione, ma aveva questo libro, da cui stava cercando di trarre una storia per il cinema e mi è sembrata una cosa così bella e così difficile, che ho iniziato a parlarne con le persone che avevo intorno a me e che pensavo potessero aver voglia di condividere un’avventura strana.
Alessandro Veronesi con cui ne avevo parlato all’epoca, non solo mi ha appoggiato , ma si è offerto di essere il curatore della collana, l’unica collana in progetto allora, che si chiama “Mine vaganti”. Con lui e con altre persone , già parte della Fandango casa produttrice cinematografica, come Laura Paolucci e poi con l’aiuto a volte anche solo morale delle persone che avevo intorno abbiamo deciso di cominciare a pubblicare anche libri.
Qual’è il rapporto tra cinema e letteratura?
Non c’è un rapporto così stretto tra i film che facciamo e i libri che pubblichiamo. Nel caso della “maschera di scimmia”, tempo dopo è diventata un film che abbiamo co-prodotto, tuttavia la maggior parte dei titoli che pubblichiamo non ha niente a che vedere con il cinema. Per esempio ci sono alcuni film che abbiamo realizzato i quali partono da libri che non sono nostri o che non abbiamo pubblicato noi in Italia. Poi la relazione tra l’uno e l’altro mezzo è strettissima,questa è una banalità,secondo me una relazione c’è comunque a prescindere dal fatto che una storia travasi da un mezzo all’altro.In tutti e due i casi c’è il fatto di raccontare delle storie non si fa con dei mezzi diversi…alla fine si parla di questo, di storie… Ogni storia ha poi un suo specifico, una storia che funziona perfettamente in un romanzo, non è detto che diventi un buon film e viceversa, da un buon film non sempre è possibile desumere una storia che per iscritto funzioni altrettanto bene. Il mio lavoro alla fine ha a che fare con il raccontare delle storie, di trovarle in giro e portarle al pubblico o di aiutare qualcuno a raccontarle attraverso libri o film.
Come decidete quali storie pubblicare?
Gli Italiani non li pubblichiamo, ci sono stati solo casi molto isolati di italiani pubblicati, non abbiamo ancora una collana, un giorno forse ci organizzeremo abbastanza da averla.
Per quanto riguarda gli autori di cinema, sono di solito loro a trovare noi, arrivano delle proposte che vengono vagliate, studiate e poi elaborate con chi scrive e chi dirige la sceneggiatura. In altri casi si tratta di un lavoro nato con degli autori con cui abbiamo già realizzato dei film, si apre un percorso insieme, si cercano insieme dei progetti, in alcuni casi si lavora su più di una storia contemporaneamente e poi si sceglie quella da realizzare. Ogni progetto ha una vita diversa dall’altro, si tratta veramente di un prodotto. Quando si dice: “ il cinema è un’industria di prodotti”, è vero fin dal primo atto, dall’idea, che si evolve poi in un percorso , ogni volta diverso, unico.
Chi si rivolge alla vostra casa editrice che cosa può trovare? Quali generi pubblicate e come sono articolate le vostre collane?
Abbiamo due collane principali: una si chiama “Documenti”che non è una collana di narrativa, se parlassimo per immagini sarebbero dei documentari, sono dei saggi, dei libri che hanno un taglio abbastanza chiaro, netto.
I titoli sono per esempio: “La guerra dei Bush”, “Le parole di Genova”,”Segreti di Stato”…abbiamo inoltre pubblicato ormai ben tre libri di Jhon Pilger, che è un reporter di guerra molto importante, e poi Robert Fisk, entrambi giornalisti che scrivono su “L’Internazionale”, “Il Manifesto” a volte su “L’Unità”. Infatti la linea “Documenti” è politicamente molto netta.
Invece l’altra collana “Mine Vaganti” è di narrativa ed è frutto un po’ dell’estro di Sandro Veronesi che è il curatore, quindi è lui che sceglie i testi. Non c’è un genere, non è una letteratura di genere, i libri vanno scelti uno per uno e appartengono poi fatalmente a generi diversi.
Decidere di fare il produttore e poi l’editore che cosa ha significato per te?Ti ha cambiato?
Decidere di fare l’editore non mi ha cambiato molto: come impostazione del lavoro io fin dall’inizio tento di fare l’editore producendo film, cerco di avere un approccio da editore nel momento in cui scelgo un progetto, e dopo averci lavorato su lo si fa diventare un film. Non è un modo nuovo di lavorare, non mi ha cambiato molto, utilizzo semplicemente il metodo che penso funzioni meglio per me. Ognuno ha infatti il suo modo di lavorare con gli autori, i registi e gli scrittori.
–Per te la letteratura e il cinema che cosa rappresentano?
Sono delle passioni, dove mi permetto anche di andare in territori che difficilmente potrò attraversare, toccare nel lavoro che faccio. Al di là del cinema d’autore e di certi autori in particolare, a me piace un cinema che quasi sicuramente non riuscirò mai a fare come produttore, un cinema spettacolare: fantascienza, western..che per me è godimento puro, in particolare amo molto “La Saga del Signore degli Anelli”, “Kill Bill” che considero un capolavoro assoluto.
E’ un cinema che vado a vedere da spettatore, non pensando a come quei film sono stati realizzati, a quello che c’è dietro, al mio lavoro, pensando soltanto di andare a vedere un film che voglio vedere. Per esempio i western sono fantastici , ora se ne fanno pochi, forse in questi ultimi anni qual
cuno in più… li aspetto perché per me sono un vero piacere.
Il tuo libro preferito?
Il mio libro preferito della vita, nella sua banalità, resta “On the road” di Jack Kerouac, che è una rivelazione quando lo leggi ad una certa età, e ti resta lì…
Sicuramente non è il più bel libro del mondo ma per me ha significato molto.
Quando l’hai scoperto?
Intorno ai quindici anni, sedici anni, quell’età in cui hai la voglia e il tempo di metterti a rifare tutto il percorso sulla cartina…
Un libro e un film della Fandango che consiglieresti ?
“Il bambino rubato” di Paul Cody, che, secondo me, è veramente un gran libro. Per quanto riguarda il film, sono molto orgoglioso di uno degli ultimi film che abbiamo prodotto, e che è l’unico film italiano a Cannes,e questo mi rende ancora più orgoglioso ma lo sarei stato anche se non l’avessero scelto ed è “Le conseguenze dell’amore” di Paolo Sorrentino, che in Italia uscirà tra un po’ di mesi…
Qualche anticipazione?
Non c’è molto che posso dire, spero che piaccia la metà di quello che è piaciuto a me!
FANDANGO? ANCHE SUL WEB… E POI? PER SAPERE CHE COS’HA IN RISERBO PER VOI
http://www.fandango.it
di agente Gabriella Addivinola