Mille novecento setta quattro
Maggio 28, 2010 in Sport da Stefano Mola
Millenovecentosettantaquattro vuol dire il primo mondiale di cui abbia qualche ricordo. Laigueglia. Avevo otto anni. Il residence Villa delle Viole, due curve sopra l’Aurelia. Stavamo in un appartamento che era poco più di un monolocale. Seduti a tavola vedevamo uno spicchio liscio e blu di mare, con la Gallinara. Ai Bagni Marinella arrivavi scendendo una scalinata lunghissima, verticale, e c’erano gli ombrelloni arancioni e rossi a spicchi. La Gelateria Rialto, prima del budello, in fondo a tutta la passeggiata a mare, ritmata dalle insegne dei bagni, ci andavamo tutte le sere, io mia mamma e mio fratello. Malaga e Stracciatella, ed era il gelato più buono del mondo.
Mio padre ci raggiungeva solo per la fine settimana. La prima volta che è partito per tornare a Torino mentre noi restavamo lì mi dice per scherzo una cosa del tipo adesso sei tu l’ometto di casa, io sento gli occhi umidi umidi e cerco di non piangere.
Nell’appartamento non c’era la televisione, forse avevamo un radio. Come facevo a seguire il mondiale non so. Sognavo già di diventare un calciatore, il basket sarebbe arrivato quattro anni più tardi. Riconoscevo le figurine dei calciatori anche quando me ne veniva mostrato solo un frammento. Anche adesso potrei descrivere l’unico gol segnato nelle mitiche partite di pallone durante l’intervallo alle elementari. Io che intercetto un pallone a centrocampo, che corro in avanti, che vedo il portiere corrermi incontro, io che con il batticuore calcio verso la porta, io che vedo la palla viaggiare incredibilmente su una linea perfetta, evitare il portiere, colpire lo spuntone di legno che fa da palo ed è gol. Io e la mia felicità in mezzo ai compagni.
A Laigueglia mi disegnavo le figurine dei calciatori e ci facevo dei campionati. Forse non le lasciavo usare a mio fratello che aveva tre anni, allora mia mamma, con un gesto che di tenerezza infinita che può venire solo da un amore grande come quello di una mamma, le disegnava per lui. Mi ricordo un Anastasi con una incredibile zazzera afro.
I nostri vicini di ombrellone erano tedeschi. Avevano due figli, un ragazzo ben più grande di me e una bambina dai capelli biondi e lunghi che forse aveva uno o due anni più di me e che si chiamava Andrea e con cui avevo fatto amicizia. Mia madre che fantasticamente riusciva a comunicare con loro perché aveva seguito un corso di tedesco in televisione.
Dei mondiali mi ricordo la vittoria con Haiti, il pareggio con l’Argentina, la sconfitta con la Polonia. Mi ricordo che ero nel cortile del residence mentre la televisione del bar trasmetteva la finale, e dentro c’erano i turisti tedeschi. Mi ricordo che i miei amici tedeschi, non so bene in che modo, mi chiedono quanto ho pagato il gelato e scopriamo che il gestore li ha fregati, a loro lo ha fatto pagare di più. Forse si sono consolati con la vittoria finale, contro quella leggendaria squadra olandese che quattro anni più tardi verrà macellata di calci a Buenos Aires.
L’Italia in quel mondiale non ci aveva fatto una gran figura, ma qui si mescolano al ricordo vissuto tutte le cose che ho compulsivamente letto nel libro a dispense sulla storia dei mondiali.
Ma io tra vincere un mondiale e rivivere quella Laigueglia e quelle vacanze al mare, non avrei nessuna esitazione. Vorrei per prima cosa il mio sacchetto delle biglie di plastica, quelle con i ciclisti dentro, scenderei quella scalinata, mi cambierei nella cabina stretta stretta e spererei che sentendo l’urlo bomboloni, pizza, mia madre mi compresse l’uno o l’altra.
di Stefano Mola