Mobbing, la strategia del branco
Marzo 6, 2002 in Attualità da Redazione
Come bestie cacciate dal branco. Dove il branco è l’azienda, il luogo di lavoro ed il cacciato è il dipendente reso oggetto di mobbing, dall’inglese “to mob”, circondare per assalire. La metafora animale non è casuale. I primi a parlare di mobbing infatti sono stati proprio gli etologi che hanno studiato le situazioni di aggressione dei gruppi di animali nei confronti di un membro per ottenerne l’allontanamento. Nell’ambito dei rapporti lavorativi ogni giorno sono migliaia i dipendenti bersagliati da comportamenti vessatori attuati dai superiori gerarchici per spingerli al licenziamento.
Il “mobbizzato” viene isolato, non ha più lo spazio per gestire normalmente i rapporti interpersonali e professionali. La strategia distruttiva può essere attuata dai vertici dell’azienda (mobbing verticale) o dai colleghi di lavoro (mobbing orizzontale) e gli effetti sono in ogni caso devastanti. La vittima viene spinta a farsi da parte, la sua professionalità svilita e la sua reputazione continuamente messa in discussione.
La maggioranza delle vittime subisce in silenzio le vessazioni e abbandona il posto di lavoro oppure cade in una spirale di depressione che, nei casi più gravi, può portare al suicidio. Solo pochi, invece, hanno il coraggio di opporsi al mobbing e denunciare i superiori.
Da questo punto di vista la storia del torinese Ettore Scarano, caposettore del centro commerciale Panorama di San Mauro, è emblematica. “Sono un dipendente scomodo – racconta – Per cercare di mandarmi via mi hanno umiliato fino a farmi ammalare”. Le accuse di Ettore Scarano nei confronti della dirigenza dell’ipermercato sono dettagliate ed hanno convinto il Tribunale del lavoro di Torino a condannare Panorama per “dequalificazione professionale”, uno degli elementi tipici del mobbing.
Ettore Scarano racconta tutta una serie di comportamenti da padroni delle ferriere stile Ottocento: “Ero responsabile del settore casse con circa settanta lavoratori alle mie dipendenze. Credo nei diritti sindacali e mi sono più volte rifiutato di assumermi la responsabilità di decisioni contro i lavoratori prese dalla dirigenza. Per questo sono diventato scomodo. Da quel momento è stato l’inferno: insulti continui in pubblico, lavoro manuale massacrante, isolamento. Non ho più ricevuto nemmeno le gratifiche che mi sarebbero spettate di diritto, al pari di tutti gli altri capisettore”.
Con orgoglio Ettore Scarano ha deciso di reagire, non si è licenziato e si è rivolto al sindacato che l’ha aiutato a presentare ricorso contro l’azienda presso il Tribunale del lavoro di Torino. Un battaglia iniziata nel 1996 e che dura ancora oggi: “Nonostante la condanna, Panorama continua a tenermi parcheggiato in un reparto inadeguato alla mia qualifica”. Questo caso è soltanto uno dei migliaia denunciati annualmente da chi lotta per difendere i lavoratori dal mobbing. L’aspetto positivo dell’emersione del fenomeno è difatti la nascita di numerose associazioni cui le vittime possono rivolgersi. Eccone alcune:
Associazione vittime del mobbing “La punta dell’iceberg”
Gruppo di autoaiuto per le vittime del mobbing
di Luca Stra