Ossi Duri the new album
Gennaio 23, 2006 in Musica da Cinzia Modena
E’ uscito il nuovo album degli Ossi duri, L’ultimo dei miei cani. Sono una band che ama ispirarsi a Frak Zappa. Sono giovani d’età ma con già 10 anni di esperienza, anche internazionale: hanno suonato con Ike Willis che molti ricorderanno sia in perfomance live che in diversi dischi di Zappa, ed ultimamente anche con Elio e le Storie Tese.
Gli Ossi duri: chi sono?
Gli Ossi Duri sono cinque ragazzi sulla cresta dell’onda da tenera età. La loro avventura è partita nel 1993, suonando dal vivo nei locali, all’età di circa 10 anni poi, nel ‘96 il loro primo mini Cd maxisingle intitolato “Niente squole niente maestre!” con 4 brani originali e una cover di Frank Zappa; il grande evento solo un anno dopo: si esibirono al Salone internazionale della musica nell’Auditorium del Lingotto di Torino al “Frank Zappa Memorial Afternoon”. Da allora gli Ossi Duri hanno partecipato a diversi appuntamenti musicali legati a Frank Zappa. Non sono passati inosservati nell’ambito delle numerose rassegne musicali cui hanno preso parte: in particolare Ike Willis (nome fortemente legato a Zappa) ha spesso suonato insieme a loro fino a fare una tournée nel 2003. Un altro incontro casuale e fortuito è stato quello con Elio e le Storie Tese, cui hanno fatto seguito esibizioni live e la partecipazione di Rocco Tanica nello ultimo lavoro: L’ultimo dei miei cani, primo disco con brani totalmente originali.
Gli Ossi duri & il loro disco “L’ultimo dei miei cani
Cinque ragazzi. Duri ossi a morire, richiamando il titolo di un celebre film americano. Duri perché da 10 anni a questa parte la loro attività non ha subito arresti ma è andata anzi aumentando seguendo un percorso formativo che ha permesso a tutto il gruppo di crescere e migliorare.
L’ultimo dei miei cani è l’ultima fatica di questi ragazzi cresciuti tra Torino e Givoletto, un paesino in provincia di Torino. Una veloce visita al loro sito web www.ossiduri.com rivela una produzione musicale notevole, in barba a chi pubblica album ogni due anni o è già ampiamente affermato e conosciuto.
Tutti i loro lavori sono sempre stati ampiamente ispirati alla musica di Frank Zappa. Una domanda lecita è: il loro è un imitare o una lezione imparata, fatta propria ed elaborata secondo una propria sensibilità ed arte del creare? Il giudizio critico lo si può lasciare agli ascoltatori del disco ed ai “zappiani” in particolare. Limitando l’ascolto a questo ultimo lavoro, ciò che si rileva è una notevole capacità di miscelare influssi di filoni musicali vari quali pop e rock americano, rock italiano e musica d’autore in senso lato. Il disco è fatto di tanti capitoli intrecciati tra loro ed indipendenti al contempo. Ogni traccia ha una sua storia. Ogni traccia è una sorpresa. La vera sorpresa è prendere in mano questo disco, ascoltarlo e poi scoprire che gli autori sono giovanissimi. Se si definiscono gli Ossi Duri una band emergente, l’ascolto di suoni puliti, la ricchezza di creatività musicale ed interpretativa, la complessità della struttura dei brani, la professionalità ed il bilanciamento nell’uso di tutti gli strumenti musicali e tutto l’insieme in generale lascia semplicemente spiazzati. Il disco è altamente curato in ogni suo aspetto, sia compositivo che produttivo: niente è lasciato al caso e l’ascolto è molto gradevole.
Questi giovani Ossi Duri sono in grado di tirare fuori dal loro cilindro suoni, immagini e colori come dei prestigiatori: semplici ed immediate creazioni, complesse nella idea di base e nella realizzazione. Idee pizzicate qua e là ed inserite come pennellate colorate in una tela immaginaria, o spartito, fino a creare brani che hanno anime originali, diversi tra loro e differenziati per influenze assorbite chissà dove e come, con ritmo che varia all’interno dello steso pezzo, creando una tensione tenuta alta fino al momento liberatorio o ad un totale cambio di registro.
Questo è’ quanto avviene ad esempio in Lo spirito del Panda, dove chitarre in piena scuola Zappa tengono alta la tensione musicale per poi cadere in oriente come tra archi e dromedari immaginifici (o una tela di Dalì dai mille colori caldi), tra eroi alla Zorro ed alla Sandokan. Ricerca di sonorità che richiede anche l’impiego di strumenti musicali non canonici e fa sentire l’ascoltatore uno spettatore dentro un film 3D.
Parole che si intrecciano con ritmi jamaicani e “blueseggianti”, chitarre alla Zappa che irrompono per qualche secondo, per poi cavalcare note scanzonate che sostengono il racconto come le scenografie in uno spettacolo teatrale. Tutto ciò si realizza, per far un esempio, in Guru Cioè e le Pene di Diogene.
Coralità e liricità, un occhio a sonorità Jethro Tull, dialogo a due voci tra falsetti e baritoni, sarcasmo su scene di vita di coppia in Istruzioni per l’uso, dove un ritmo un po’ ironico, a volte hawaiano a volte ska, viene smorzato da suoni rotondi quasi blues e da un sax in chiave jazz. Né qui né lì, brano d’apertura, dura solo un minuto e diciassette secondi, ed è una vera e propria traccia introduttiva che con poche note propone una sintesi di ciò che si starà per avvicinare e del filone musicale che dominerà tutto il disco.
Divertente è Umorismo involontario, dove protagonista è una coppia alle prese con problemi quotidiani dal lavoro alla vita familiare ed intima, raccontati dal lui della situazione, con un parlata sgrammaticata, smentito o smascherato dalla sua lei. Parole accompagnate da note jazz stile jam session.
Grande allegria e solarità in Odore di Paese, portate da una coralità di chitarra basso e batteria che richiamano con la mente le corse in moto e a cavallo, con attacchi a pezzi storici (Bee Gees ad esempio), musiche di telefilm anche se giusto per poco più di quattro battute. Tanto ritmo in pieno attacco all’ironia del testo, semplice naif e simpatico anche per i palati più fini (l’oggetto sono le mutande e la pigrizia di certe persone).
Tanta solarità mediterranea si contrappone ad ombre un po’ cupe in L’ultimo dei miei cani, dove strumenti tipici di pastori sardi seguono a tamburi africani, per chiudersi in cori andini o di paesi musulmani dove la parola cantata regala una sensazione ipnotica. Stacco e poi riff di chitarra in chiave jazz accompagnata da fiati, sax, piatti, senza il cantato, che riportano ad una sensazione di rilassatezza che confluisce nella scoperta espressa da una batteria ossessiva dove ombre dell’oscuro si aprono come all’uscita di un cunicolo verso tesori.
Solo e giovane tradisce l’età degli autori. Chitarra ad oltranza sostenuta da un basso e batteria scatenati accompagnano le ansie di un giovane alle prese con l’acne e con la scoperta delle proprie pulsioni. Al centro del brano una lirica rock al limite del metal anni ’80 interrotta da una cadenza da ballo liscio come punto finale.
L’unico rischio? Che scappi il brano di riferimento nel momento in cui si apre una finestra e si resta a guardare il panorama. Noi ammiriamo lo spettacolo mentre la scena evolve: si pensa di trovarsi sempre sulla stressa traccia (o alla stessa finestra) mentre invece si viene catapultati come in caleidoscopio in paesaggi e situazioni nuove. Tante tracce come tante finestre su scene diverse che fanno viaggiare con armonia e dinamismo in un mondo allegro, sereno ma anche vario come è la vita.
Una sintesi per descrivere il disco: note di pianoforte, un po’ jazz un po’ blues & funky. Poi l’irruenza della chitarra e della batteria in espressioni differenti. Un po’ Led Zeppelin, molto Zappa, un po’ “Elio e le Storie Tese”. Voci in falsetto, dialoghi tra strumenti e vocalist, voci soliste, voci corali.
di Cinzia Modena